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Mario Monti, consigli da vampiro a Giuseppe Conte: sfrutta la pandemia e aumenta le tasse

Giovanni Sallusti
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Mario Monti, si sa, non è un senatore qualunque. Mentre in queste ore negli anfratti di Palazzo Madama va in scena l'eterno mercato italico dei peones, lui la sua trattativa con Conte la gestisce direttamente dalle colonne del Corriere della Sera. Ieri infatti l'ex quotidiano della borghesia produttiva ha ospitato un editoriale dell'ex premier famoso per aver massacrato la suddetta, schiettamente intitolato «Le condizioni per dire un sì al governo». Monti è uno dei sei senatori a vita (fu nominato da Napolitano cinque minuti prima che avesse l'incarico di presidente del Consiglio) i cui voti martedì in aula sarebbero ossigeno puro, per l'agonizzante maggioranza giallorossa.

Da cui il messaggio con le sue condizioni per gettare il salvagente all'avvocato di Volturara Appula, recapitato attraverso la prima pagina di via Solferino. Soprassediamo sulla retorica eurolirica sciorinata dal tecnocrate in loden come premessa, e andiamo alla ciccia, ai provvedimenti a cui vincola il suo sì. Anzitutto, «diventa importante porsi con urgenza il problema di quanto abbia senso continuare a "ristorare" con debito le perdite subite a causa del lockdown». Proprio così: agli occhi di Monti la priorità odierna è mettere in discussione la quantità pur ridicola di compensazioni che ristoratori, commercianti, artigiani, piccoli-medi imprenditori hanno saltuariamente avvistato nei conti correnti. La Cgia di Mestre recentemente le ha quantificate in 29 miliardi, a fronte di un crollo di fatturato di 423 miliardi che ha travolto gli operatori economici coinvolti nella serrata oltranzista imposta dall'esecutivo, non figlia di una libera dinamica di mercato.

 Nessun problema, il superburocrate bocconiano ha la soluzione in tasca, insieme allo stipendio senatoriale pagato dal contribuente: «Per molte attività sarebbe meglio che lo Stato favorisse la ristrutturazione o la chiusura, con il necessario accompagnamento sociale, per destinare le risorse ad attività che si svilupperanno, invece che a quelle che purtroppo non avranno un domani». Avete capito bene, Monti affronta il problema dei piccoli esercenti e degli autonomi che boccheggiano con la stessa strategia con cui Stalin affrontava quello dei kulaki, i piccoli proprietari terrieri refrattari alla collettivizzazione: eliminandoli. Arriva a scrivere su un giornale "liberale" (risate in sala) che lo Stato deve «favorire la ristrutturazione o la chiusura» di aziende private, la pandemia come pretesto per farla finita con questa plebaglia arretrata, il negoziante, la partita Iva, il barista, e puntare tutto sulle attività «che si svilupperanno», magari i colossi dell'e-commerce, meglio se con quella spruzzata di verde gretino tanto cara all'Unione Europea.

 

 

Dev' essere in forma, l'ex leader (?) di Svolta Civica, perché a ruota elenca «una serie di temi che solo in Italia sono considerati tabù», con una ferocia esattoriale compulsiva che non trovate nemmeno nel programma di Leu: «imposta ordinaria sul patrimonio, imposta di successione, imposizione sugli immobili e aggiornamento del catasto, imposizione sul lavoro». È il saccheggio fiscale finale, quello che invoca l'uomo che portò in un giorno da 9 a 24 miliardi il prelievo sugli immobili, sostituendo l'Ici con l'Imu. Una genialata che dal 2012 ha sottratto ai proprietari di case oltre 200 miliardi, con il corollario beffardo che trattasi di tassa sul già tassato, come tutte le patrimoniali. Perché altro che "tabù", esimio sceriffo di Nottingh... ehm, professore, nel Belpaese esistono già 14 tipologie di patrimoniale, e in vent' anni la loro percentuale rispetto alle entrate complessive è addirittura raddoppiata. Lei sta quindi immaginando di regolare i conti con la residua ricchezza privata sopravvissuta al suo stesso rastrellamento, chiede a Conte di portare a termine il suo stesso lavoro di desertificazione del portafogli.

Dato tutto questo, suona a metà tra l'autoironico e il provocatorio quest' altra richiesta: una «riforma fiscale, con adeguato spazio alle semplificazioni, a un fisco «friendly ma non troppo» verso i contribuenti». Dopo la gragnola di tasse proposte, dipinge l'immagine di un Fisco "amico" (seppur "non troppo", non vorremmo mica imitare Paesi civili come il Regno Unito, che hanno un carico fiscale sull'impresa dimezzato rispetto al nostro). Figurarsi se lo voleva "nemico". In ogni caso, la condizione posta da Mario Monti per votare la fiducia al govern(icchi)o è chiara e sul tavolo di Giuseppi, via Corrierone: lo sterminio di quello che resta del ceto medio.

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