Crisi, il governo di centrodestra con "i parlamentari opzionabili": alternativa al "voto subito"
Il governo è «allo sfascio». O, peggio, «non c'è più». E questo proprio mentre gli italiani sono morsi dalla crisi provocata dalla pandemia. Basta perdere tempo: l'Italia non se lo può permettere. E per il centrodestra la strada maestra per uscire dall'immobilismo in cui l'hanno cacciata «le liti, i giochini e le reciproche accuse» tra i partiti della maggioranza giallorossa, è una: «Elezioni subito. Conte si dimetta». In alternativa, il presidente del Consiglio «si presenti in Parlamento (oggi, ndr) per chiedere un voto di fiducia». A metà pomeriggio, non appena è chiaro quale strada ha deciso di imboccare Matteo Renzi, i leader del centrodestra si riuniscono per mettere a punto la risposta della coalizione. La riunione, che si svolge in presenza negli uffici della Lega a Montecitorio, serve soprattutto per stroncare sul nascere ogni tentativo per un possibile soccorso "esterno" alla maggioranza di governo.
Non a caso la partecipazione è allargata ai partner minori dell'alleanza - quelli dai quali, nei desideri della maggioranza, dovrebbero eventualmente arrivare i nuovi "responsabili" in grado di dare una mano ai giallorossi agonizzanti - come Giovanni Toti di Cambiamo!; Lorenzo Cesa dell'Udc e Maurizio Lupi di Noi con l'Italia. Oltre a loro, naturalmente, ci sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani (per Forza Italia). Il risultato è un comunicato congiunto nel quale Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia mettono nero su bianco - oltre che l'«indisponibilità a sostenere governi di sinistra» - la richiesta di «riportare al governo del Paese una maggioranza coesa e omogenea» attraverso la strada delle elezioni. «Ci affidiamo alla saggezza del presidente della Repubblica per una soluzione rapida». Obiettivo del vertice: compattare una volta di più la coalizione e dare, anche plasticamente, agli elettori l'immagine di un'opposizione pronta a offrire da subito un'alternativa allo «squallido teatrino» di queste ore, per dirla con le parole di Salvini. «Noi siamo pronti», anticipa il leader del Carroccio in mattinata. Per Salvini per uscire dal pantano, oltre alle elezioni, la «soluzione migliore» è quella di una maggioranza «con il centrodestra a farne da guida. Non mi interessano i minestroni».
Il leader del Carroccio, al di là di quanto sancito dalle dichiarazioni ufficiali, mette sul tavolo l'arma della conquista dell'Aula di Palazzo Madama da parte del centrodestra. Altro che "responsabili": se movimento c'è al Senato, questo riguarda anche l'attuale opposizione. Al centrodestra fanno di conto: Lega, FI e FdI, insieme, arrivano a 136 senatori. Per controllare l'Aula di Palazzo Madama, bisogna arrivare a 161 seggi. E qui il centrodestra ha le sue carte da giocare, perché allo "zoccolo duro" dell'alleanza occorre aggiungere i tre senatori di Cambiamo!, più una ventina di parlamentari considerati «opzionabili». Tra questi, riferiscono fonti parlamentari, la pressione sarebbe particolarmente intensa sui quattro senatori del Movimento associato italiani all'estero (Maie) e gli ex grillini che siedono nel gruppo Misto e in quello delle Autonomie. Il totale, così, arriverebbe proprio alla quota richiesta per la maggioranza assoluta. E questo senza considerare l'eventuale smottamento nel gruppo del M5S, terrorizzato dalla prospettiva di elezioni anticipate.
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E Già, il voto: nel 2021, ricorda Salvini, le urne saranno aperte in 14 Paesi, a dimostrazione che quella della pandemia, attacca l'ex ministro dell'Interno, è solo una scusa per evitare il giudizio degli italiani e, soprattutto, per eleggere il successore di Sergio Mattarella, l'anno prossimo. Prima del vertice, anche Forza Italia, chiamata in causa non solo da Renzi, ma anche dall'uomo forte del Pd, Goffredo Bettini, per un eventuale sostegno all'esecutivo al posto di Italia viva, ha serrato i ranghi. Silvio Berlusconi ha sentito telefonicamente il capogruppo azzurro a Palazzo Madama, Annamaria Bernini: ribadito il "no" a qualsiasi ingresso in maggioranza, così come l'assicurazione sulla tenuta del gruppo parlamentare nei prossimi passaggi della crisi.