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Donald Trump, "una domandina per i compagni". Giovanni Sallusti: la Costituzione italiana violata da un anno

Giovanni Sallusti
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E infine giornaloni, intellettualini, esperti di tutto e commentatori del nulla si svegliarono un giorno del gennaio 2021: la democrazia è in crisi. È sotto scacco, in balìa di un pericolo mortale, addirittura finita. E lo è, dicono questi specialisti nell'analisi postuma, perché oltre Atlantico un pugno di beoti para-trumpiani, annoverabili nella famigerata Destra Alternativa (in cui è in po' dura risolvere tutti i 73 milioni di americani che hanno votato repubblicano, ma transeat) ha fatto irruzione in Campidoglio, con una polizia "impreparata" (tuonano gli stessi che quando la polizia Usa arresta e spara la accusano di nazismo). Agenti che hanno piuttosto gestito moderatamente la situazione, evitando che si aggravasse il bilancio di per sé tragico di 4 morti, tra cui Ashli Babbit, veterana dell'areonautica, uccisa da un colpo di pistola. Ma trattasi di donna militare e sostenitrice di Trump, nessuno si inginocchierà per lei, né le star del basket a stelle e strisce né le starlette del giornalismo italico, come accadde per il povero George Floyd. In ogni caso, il Media Unico nostrano certifica in coro l'apocalisse statunitense. "Usa, un giorno da golpe", strilla a tutta pagina Repubblica. Per Avvenire è "assedio alla democrazia" (un assedio picaresco sventato già prima che il quotidiano dei vescovi andasse in stampa). Il Quotidiano Nazionale evoca l'impensabile, il fascismo in America: "La marcia su Washington". Ma l'acme lo tocca Massimo Giannini, che per un giorno si sente Leone (Sergio) e titola La Stampa: "C'era una volta l'America". E giù piagnistei collettivi, dagli editoriali ai talk televisivi, sulla democrazia colpita al cuore, l'ora più buia dei Padri Fondatori, il tempio della libertà violata, la fine del modello americano. Sono lacrime di soddisfazione, in realtà: è l'annuncio che il mainstream mediatico e culturale non vedeva l'ora di dare, essendo per buona parte visceralmente anti-americano (tanto da aver tifato Urss nella Prima Guerra Fredda e da inneggiare alla Cina oggi, nella Seconda).

La domandina - C'è solo una domandina secca, piatta, meramente cronachistica da girare a questi signori: scusate, ma in che Paese vivete? E la risposta (la diamo noi, perché il loro lavoro consiste esattamente nella rimozione quotidiana dell'evidenza) suonerebbe così: nel Paese dove un governo non eletto da nessuno ha sospeso ormai da un anno le libertà costituzionali fondamentali. Se in America la polarizzazione nazionale ormai è diventata incendio, tanto da spaccare la cittadinanza sull'esito di un voto, qui si è agito a monte. Non solo non si vota a dispetto delle continue crisi politiche, visto che ormai l'urna elettorale è concepita come un fastidioso apostrofo tra un escamotage e l'altro del Pd per stare al governo a priori. Ma si è congelata la dialettica maggioranza/opposizione (che negli States viceversa è esplosa, e un caos plurale è sempre meglio di un ordine monolitico), si è sospesa di fatto l'attività del Parlamento (ridotto a orpello decorativo dei Dpcm sfornati da un premier che in vita sua non ha ottenuto il consenso nemmeno di un'assemblea di condominio), si continua a prolungare compulsivamente lo stato d'emergenza (unici in Europa, barbari sovranisti alla Orban compresi). E cosa facevano, quelli che oggi si battono il petto per la democrazia zoppicante Oltreoceano, mentre qui, in casa loro, venivano segate a una a una le gambe alla suddetta democrazia? Non solo tacevano, ma applaudivano. Anzi, più realisti del re(uccio) in pochette, si affannavano ad invocare più chiusure, più divieti, più stato d'eccezione. Non è un caso, che oggi costoro si precipitino a celebrare il funerale del modello liberaldemocratico americano. Sia mai torni di moda, anche dalle nostre parti.

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