Brexit, Pietro Senaldi: "Orfani del Regno Unito e sotto il tacco di Angela Merkel"
La Gran Bretagna ha lasciato l'Unione Europea e, checché se ne dica, da ieri il Vecchio Continente è isolato. Da tre decenni almeno il centro del mondo non è più l'Europa e Londra lo ha capito bene, salutando la compagnia e le sue regole e proibizioni senza un progetto e un'anima comune per tornare ad aprirsi al resto del pianeta, che è poi la vera vocazione degli inglesi dai tempi dei Plantageneti. A portarla fuori da una Ue che sembra sempre meno una gabbia di matti e sempre più un lager tedesco è stato Boris Johnson, genialoide oxfordiano dalla capigliatura da scienziato pazzo, il miglior sindaco di Londra che si ricordi.
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Il divertimento della stampa nostrana è farlo passare per un imbecille, perché è di centrodestra, vagamente sovranista - ma quale inglese non lo è? - e all'inizio ha sottovalutato il Covid. Proprio come Conte, che a gennaio dichiarò che l'Italia era prontissima, a febbraio non mise in quarantena chi arrivava dalla Cina e a marzo non concesse a Nembro e Alzano Lombardo la zona rossa che adesso impone con la facilità con cui si prescrive un'aspirina. Solo che Boris non è imbecille, ha meno morti da Corona di Giuseppe e ci ha bruciati in partenza sulla vaccinazione di massa, al momento unica exit strategy dal virus. In più ha rispettato la volontà della sua gente, mostrando rispetto assoluto per la democrazia proprio mentre noi seppelliamo quel poco che ne resta a colpi di dpcm. E ogni volta che ha dovuto chiudere qualcosa per arginare l'epidemia, si è mostrato contrito e ha chiesto scusa, anziché dispensare ramanzine al popolo in ceppi e approfittarne per rivendicare meriti personali inesistenti, come abitudine del suo omologo pugliese dal curriculum meno ricco.
LA SCOMMESSA INGLESE
Dovranno passare parecchi anni prima di capire se la scommessa degli inglesi è vincente. Chiunque tracci giudizi definitivi oggi non sa di cosa parla, è superficiale o in malafede. Quel che si può dire al momento è che, nei quattro anni trascorsi dal referendum, il Regno Unito non ha pagato in termini economici e politici alla Brexit il salato prezzo che gli avevano pronosticato gli analisti eurofili. La scommessa finanziaria di Johnson, libero dal fardello Ue, è riuscire dove non tentò neppure la Thatcher, ovverosia trasformare l'Inghilterra nel più grande, efficiente e organizzato paradiso fiscale del mondo.
Quella strategica è rafforzare la "special relationship" di Londra con Washington, che comunque conta sempre più di Bruxelles - e in ogni caso, specie se si è britannici, è meglio essere secondi agli Usa che ai tedeschi -, e rilanciarsi come Paese guida del Commonwealth. Per l'intanto, possiamo dire che il primo vantaggio immediato dello sfilarsi dalla Ue, il Regno Unito l'ha avuto subito, potendo partire con la vaccinazione di massa tre settimane prima degli ex partner, che hanno dovuto attendere le autorizzazioni di Bruxelles alla profilassi, giunte identiche a quelle di Londra, solo in ritardo. Il secondo è stato la possibilità di poter comprare e opzionare tutte le dosi del siero ritenute necessarie senza i tetti imposti dall'Unione e poi bellamente violati dalla Germania.
L'EGEMONIA TEDESCA
Quanto a noi, abbiamo capito subito sulla nostra pelle che essere orfani della perfida Albione significa avvertire sulla pelle il tacco germanico. E non solo perché Berlino ha fatto razzia delle dosi di vaccino disponibili, accordandosi con la tedesca Biontech. Ma anche per l'accordo commerciale di fine anno tra la Ue e la Cina, fatto alla presenza della cancelliera Merkel, che favorisce sul mercato globale le aziende tedesche rispetto a quelle del resto d'Europa. A completare il quadro, sono attese le condizioni di Bruxelles per i miliardi di prestito del Recovery Fund a Roma, che di fatto apriranno la strada al commissariamento del Paese.
Gli esperti eurofili parlano di un'Unione solidale che sarebbe stata impossibile con la permanenza della Gran Bretagna. I più scettici lanciano l'allarme per un cavallo di Troia che ci assoggetterà completamente agli umori di Berlino e Francoforte. Il rapporto con la Germania è un braccio di ferro costante dove per tenere il punto sono necessari conti sotto controllo, valuta propria, dinamismo sociale ed economico. Gli inglesi li hanno, noi no.