Cerca
Logo
Cerca
+

Matteo Renzi contro Conte, il retroscena: "Stavolta la crisi non si vede, ma c'è"

Francesco Specchia
  • a
  • a
  • a

Matteo, stai sereno. Nel grigio febbraio americano, il "giorno della marmotta" -da cui fu tratto un celebre film- è quello in cui, spuntando dalla sua tana, un roditore inquieto insufflava in un meteorologo l'impressione di trascorrere la giornata sempre nello stesso modo: stessi gesti, stesse parole, stesso tempo perduto. Il meteorologo, così, in questo loop, cadeva in depressione, cercando di suicidarsi nei modi più strambi. Ecco: Giuseppe Conte ricorda il meteorologo, e Renzi la marmotta esagitata. Siamo alla solita, reiterata strategia dell'uguale. Riecco il leader di Italia Viva, che come ogni mese, dopo il solito stop-and-go (sparata-minaccia-ritirata), s' erge contro il governo Conte.

Vinta la partita sulla cabina di regia del Recovery Fund, oggi Renzi torna sul Piano nazionale di ripresa e resilienza che gestirà la cascata di denaro dall'Europa. Ci torna nel senso che, ritenendo il Piano del governo da presentare alla Ue "senz' anima" -una mostruosità burocratica- ne produce oggi uno tutto suo, fatto di «61 proposte che possono riassumersi partendo da quattro voci che formano in acronimo la parola italiana più conosciuta al mondo, la parola "Ciao". Cultura, infrastruttura, ambiente e opportunità. Il filo rosso che le lega è la parola lavoro», dice il rignanese. Il quale, naturalmente non a caso, presenta oggi le sue tesi alla stampa proprio mentre Conte si palesa alla conferenza di fine anno. Poi Renzi insiste sul far ritirare al premier la delega sui servizi segreti. E annuncia che, qualora in «qualche settimana» non si arriverà a un accordo sulle sue proposte, le attuali ministre di Italia Viva - Bellanova e Bonetti - si dimetteranno. Ora, siccome è impossibile che i 5 Stelle accolgano il progetto renziano e neanche Zinga è troppo entusiasta; be', la crisi di governo a gennaio appare più che probabile.

Appare soltanto. Perché il fatto che l'ex premier continui a ripetere «meglio star fuori dal Parlamento che dentro questo governo», più che uno slancio di civismo suona come l'ennesimo "al lupo, al lupo". Intendiamoci, Renzi ha ragionissima sul Recovery plan di Conte. Costituzionalisti come Sabino Cassese considerano quel documento un'accozzaglia di prebende; e lo stesso commissario Ue economico Gentiloni intervistato dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari teme che «per l'Italia sarà una sfida molto difficile». E perfino della delega ai Servizi al premier -pur prevista dalla legge 124/2007- si può discutere l'opportunità, specie nel quadro di un'inedita centralità assoluta dei poteri nelle mani del presidente del Consiglio (pensare di usare tutte le intelligence per scopi personali sarebbe sconveniente).

Renzi non sbaglia neanche sulla prescrizione giustizialista a 5 Stelle richiamata nel contropiano. Renzi, ha ragionissima su tutto. In linea di principio. Nella pratica, però il suo giochino è il solito. L'11 dicembre la crisi si paventava per la cabina di regia. Il 18 ottobre per la sfiducia al ministro Bonafede. Il 16 ottobre a causa della legge che abbasserebbe a 18 anni l'età per eleggere i senatori. Il 6 ottobre per l'entrata nell'esecutivo di Zingaretti che non ci pensava nemmeno. Il 30 aprile per i Dpcm "contro la Costituzione". Il 9 febbraio per la prescrizione. Il 21 febbraio per aver «messo sul tavolo 4 grandi temi», oggi obliati ma che somigliano in modo impressionante al piano "Ciao". E, alla fine, la solita minaccia di Renzi s' è trasformata nel solito nulla di fatto. Al punto che oramai, per le sue cicliche uscite in difesa della nazione, be', lo sfottò è dietro l'angolo: c'è chi come lo scrittore Alessandro Robecchi propone a Renzi l'acronimo di «Piano-Investimenti-Ricostruzione-Lavoro-Automazione (Pirla, ndr). Che come acronimo, tra l'altro, è più credibile, nel caso specifico» e chi invoca sul web «Ferrovie-Infrastrutture, Gastronomia-Ambiente (Figa, ndr). Io avrei scelto questo: molto popolare». L'ironia aguzza smorza la credibilità politica.

 

 

 

Qui, ora, siamo al redde rationem. O cade Conte o cade Renzi. Non nel senso di elezioni anticipate. Nessuno ha intenzione di andare alle urne, né il governo, né la maggioranza, né tantomeno il centrodestra che mostra la minima sponda per fare crollare il castello di Conte. Né, tantomeno, Mattarella (ed ecco perché tutti dalle massaie al mercato a Renzi stesso invocano il nome di Draghi come quello di Odino). Certo, la caratterista di Renzi è l'imprevedibilità, la vaporosa follia. Si sa mai che davvero stavolta faccia saltare tutto. Forse. O forse no. Al limite potrebbe arrivare un rimpastino di governo. Ma vale la pena, cara marmotta, di vivere sempre la stessa giornata per un rimpastino?...

Dai blog