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Luca Badoer su Michael Schumacher: "Vado spesso a trovarlo. Non dirò nulla, solo che è un combattente"

Lorenzo Pastuglia
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Quel maledetto 29 dicembre 2013. L'incidente sugli sci, la testa contro una roccia, la corsa in ospedale, poi coma, risveglio e l'inizio di un calvario che dura ancora. Michael Schumacher, 51 anni, resiste ancora a sette anni di distanza da quel tragico giorno sulle piste da sci francesi di Méribel, assistito dalla moglie Corinne e dai figli Gina Maria e Mick, che nel 2021 cercherà di inseguire le orme di suo papà in F1 al volante della Haas. Sulle sue condizioni, fino a oggi, la famiglia di Schumi ha mantenuto il riserbo e la verità sulle sue condizioni la sanno solo pochi amici stretti che lo vanno spesso a trovare, come l'ex team principal di Ferrari e del Kaiser, Jean Todt (oggi presidente Fia), e il vecchio collaudatore della rossa e suo stretto amico, Luca Badoer. Proprio il 49enne ex pilota di Montebelluna - vecchia conoscenza del Circus tra 1993 e 1999, prima di 12 anni da collaudatore del Cavallino (1998-2010) - racconta il suo legame d'oro con Michael.

Badoer, quando ha conosciuto Schumacher per la prima volta?

«A fine '92 avevo parlato con la McLaren dopo la vittoria nell'ex Formula 3000 (divenuta poi F.2, ndr) per diventare loro pilota. Poi scelsi di fare dei test con la Benetton a Silverstone dati i tentennamenti di Woking e in Inghilterra conobbi Michael (all'epoca pilota ufficiale del team). Prima di approfondire meglio con lui nel '98 quando sono diventato collaudatore Ferrari. Andavamo in auto alla pista di Fiorano, dove alla galleria del vento venne fatta la presentazione della F300. Da lì è nato un rapporto di amicizia, fiducia e fratellanza».

Che dura tuttora.

«Vero. Sembra che la F1 sia come una bolla dove una volta fuori ognuno va per la sua strada. Ma con Michael e Corinna abbiamo fatto vacanze insieme a mia moglie (Alice Terzi, 46 anni, ndr) e ai miei due figli (Brando e Rocco, 14 e 11, il primo promessa dei kart). Noi andavamo a Ginevra, loro venivano a Montebelluna. E ricordo anche il giorno del battesimo di Brando».

Ovvero?

«Schumi è il suo padrino, e lo ha tenuto in braccio durante il battesimo nell'aprile 2007. E Brando lo adora, è il suo idolo del passato e sogna di diventare pilota della Ferrari, da lui guidata per una vita. Ogni volta che Michael veniva, portava Mick che giocava con i miei figli».

A proposito di Mick, che crescita: campione in F.2 e nel 2021 in F1.

«Mick è come un figlio per me, spero si faccia valere in Haas e non posso che essere felice nel vederlo realizzare i suoi sogni. Ricordo un aneddoto: avrà avuto 5 o 6 anni e stavamo provando in pista a Fiorano. Schumi si era portato Mick che a un certo punto si avvicinò a un motorino e ci salì sopra. Capì che voleva farci un giro e me lo misi in braccio pronto per esaudire il suo desiderio. Ho nella mente ancora la faccia di Michael quando uscì dal box: mi lanciò un'occhiata preoccupata come a dire "Stai attento"».

Un ricordo particolare di Michael?

«Quella volta che festeggiammo in Giappone la sera della gara che gli portò il primo titolo piloti in Ferrari (il 3° di sette vinti in carriera, ndr). Al lato del circuito c'erano l'hotel e il luna park. Con tutto il team abbiamo passato la serata al karaoke cantando anche We Are the Champions dei Queen. Ho i brividi ripensando a quei momenti».

Nel 2021 Hamilton potrebbe superarlo nella classifica assoluta

«Onore a Lewis. Eguagliare Schumi è un'impresa e non sono d'accordo con chi dice che ha vinto solo perché ha avuto la vettura più forte (la Mercedes, ndr). Per me degli ultimi 30 anni, i più forti sono Schumi, Ayrton Senna e Hamilton. L'unico peccato? Gli altri due non hanno vinto un titolo con la Ferrari, che ti dà un qualcosa a livello morale in più».

Oggi sono sette anni dall'incidente sugli sci, come sta Michael?

«Un dramma che mi fa male quando ci penso. Ma per rispetto di Schumi e di tutta la sua famiglia, non ho rivelato ne dirò una sola parola delle sue condizioni. Solo io, Todt e pochi intimi lo andiamo a trovare».

Il fisico lo ha aiutato molto a salvarsi nell'incidente.

«Michael si è sempre allenato duramente ed è un bene che il suo fisico abbia resistito. Quando provavamo nei test a Mugello e a Monza, durante la pausa si allenava nella palestra Technogym o prendeva la bicicletta e pedalava tra le colline. Michael è Michael, è un combattente e spero possa rimettersi presto». 

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