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Massimo Galli, il ritratto di Vittorio Feltri: "Di sinistra, ma onesto su Luca Zaia. Perché è un grande medico"

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Vittorio Feltri
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Presento qui un infettivologo o virologo - non ho ancora appurato la differenza tra le due qualifiche - che ammiro e dalle cui labbra pendo come un bambino. Poiché il professor Massimo Galli è manifestamente di sinistra, non rinnega il 68 cui partecipò a 17 anni, questa mia predilezione stupirà i cretini. Pazienza. Reggerò i colpi del loro astio, cui sono abituato. Ma dev' esserci abituato anche quest' uomo. È facile metterlo nel mazzo dei virologi da combattimento, ostinatamente in tivù, e perciò fiocinabile come i pavoni usciti di gabbia e saltati sui trespoli dei talk-show grazie alla pandemia. Con costoro Galli non ha in comune neppure una piuma. In tivù e sui giornali esercita il ruolo di Cassandra, non perché gli piace la parte in commedia, ma perché gli preme dentro il dovere di non transigere sulla verità. Ad un certo punto, a chi gli rinfacciava come terroristica la sua furia contro il rilassamento da parte di ministri e persino medici, con il seguito ovvio della gente comune, ha tagliato corto: «Con il Covid non ci possono essere trattative».

A me ricorda la dirittura morale di un Seneca, non c'è nulla che valga più delle sue convinzioni e dei suoi affetti, non c'è nulla che sia in vendita della coscienza e delle di lei propaggini, tra cui la sua faccia. Non la atteggia mai. Quella è e quella tenetevi. Il tipo è così. Non gli riesce proprio di zuccherare le proprie gote per accattivarsi il pubblico. Non ha libri da vendere. Ha rifiutato e persino schifa la proposta di compensi per le sue apparizioni televisive: di mestiere non è un opinionista, non fornisce pareri da dilettante. Sa che Troia brucia, e Troia è anche la sua casa, ci abita gente che ama: la figlia 35enne, studiosa come lui, ma in settore umanistico (la madre da cui è divorziato è una insegnante di chimica alle superiori), pochi amici, i suoi allievi cui si manifesta con un carattere solido e tosto. Un cagnetto adorabile. Dopo di che, non si scherza, anche se conosce l'arte della battuta (ad una giornalista, che in marzo gli mise il microfono sotto il naso e gli domandava i rischi di contagio per lui in quanto medico, rispose: «L'essere intervistato»).

Parla con autorità. È contro le mezze porzioni, le porte girevoli da grand hotel per far entrare e uscire la gente a braccetto del virus: «Avete presente Alien? Adesso l'abbiamo imprigionato. Ma se lo rimettiamo in libertà potrebbe succedere di tutto». Diceva così in tempi non sospetti. Maledizione, aveva ragione. Sa quello che dice: è il primo della classe nella ricerca (è diventato prima ordinario in Università che primario; in luglio ha prodotto con altri scienziati lombardi uno studio sul genoma del coronavirus in Italia), ma a differenza di altre teste d'uovo fa anche il giro in corsia dai suoi malati.

 

 

IL CURRICULUM
 Insegna, ricerca e cura. È direttore della struttura complessa di Malattie Infettive 3 dell'Ospedale Luigi Sacco (un gioiello di caratura internazionale) e fino al 30 settembre è stato anche direttore del dipartimento universitario di Scienze Biomediche e Cliniche del medesimo Sacco. Non fa il diplomatico, non aspira a nomine. Davanti ai Dpcm contorti e irrazionali del governo, ne ha censurato i ritardi e le magagne. In questo fregandosene della sua predilezione per la sinistra. Non ha il paraocchi. Ha condiviso ed elogiato le decisioni di Luca Zaia in Veneto, ovvio per lui: siccome è bravo, lo dice. Paolo Mieli - conoscendo le sue opinioni politiche - stava ricamandoci sopra a La7. Al che Galli ha risposto: «Per Zaia ho simpatia, gli faccio i complimenti, ma non lo voterei, ho una storia troppo diversa dalla sua». Come dicevano i vecchi di una volta: «La idea!». Pochi giorni fa ha denunciato il pericolo imminente, dopo il Covid, di una nuova epidemia «causata da germi multiresistenti». Prima va saltato l'ostacolo attuale: il Covid. E per questo ha strapazzato i giovani incoscienti o chi è convinto di sfangarsela con poco. «Per definizione è una malattia infettiva data da un virus invisibile: la vedi quando ce l'hai, la vedi quando ce l'ha qualcuno dei tuoi cari. Sono anche così amareggiato, stanco di dover consolare l'inconsolabile, cioè quelle persone che sanno di aver portato l'infezione a casa, a genitori o nonni che magari sono andati all'altro mondo. Temo che su tutta questa vicenda si sia ancora molto lontani dall'aver acquisito una robusta comprensione di quella che è la sua realtà» (Accordi&Disaccordi, sul Nove).

Non ha esitato in diretta tivù a dire di aver paura per sé stesso. In questi giorni però, avendo percepito il rumore dei Tir che si stanno scaldando in Belgio per portare le fiale di vaccino Pfizer-Biontech in Italia, gli si è sollevato il labbro in un sorriso. Sarà tra i primi a farsi vaccinare domenica 27. Ma non si accontenta della sua testimonianza personale. La dice tutta: «Medici e infermieri devono fare il vaccino anti-Covid. Chi opera in campo sanitario e si rifiuta, deve cambiare mestiere. Non è un gesto eroico, ma un atto dovuto», ha sottolineato.

 

 

FUORICLASSE
Non so se lo vedremo con il camice. Non se lo mette mai. Non si è mai fatto filmare con il volto scombinato dalla fatica fuori dal reparto. Si lava, si incravatta, si profuma. I fuoriclasse, hanno l'attitudine a trascendere il loro orto. Non si trincerano dietro un linguaggio gergale, ripudiano i tecnicismi dietro cui si rifugiano gli scienziati che si esauriscono nei calcoli. Personalità di questo livello costruiscono la loro scienza sul terreno fertile dell'umanesimo (Umberto Veronesi docet, anzi purtroppo docebat). Come avrete forse capito da certi particolari sono onorato di poterlo frequentare. E lì ho compreso che di virus di oggi e di quelli di migliaia d'anni fa, di pestilenze e vaccini sa proprio tutto. Si è immedesimato con i medici di Manchester travolta dal colera nel 1832, e così via.

Mi ha colpito quel che mi ha raccontato dei suoi studi sulla pandemie, una apparente divagazione. Etimologicamente pandemia viene dal greco pandémos, composto di pan «tutto» e démos «popolo». Che appartiene a tutti. Nel mondo classico, era epiteto di Eros e di Afrodite, in quanto divinità dell'amore sessuale. Pandemia stava per prostituta. Casa pandemia era un modo elegante di dire bordello. Poi ci si stupisce se l'Italia va a puttane (ma questa è roba mia, il professore non c'entra).

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