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Sondaggi, il dossier Open Polis: Lega e Fratelli d'Italia, così le cifre spiegano i rapporti tra Salvini e Meloni

Antonio Rapisarda
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Che cosa hanno in comune i penultimatum di Matteo Renzi, il contismo impenitente dei 5 Stelle e le intemerate di Matteo Salvini sul governo-ponte? Ben poco, si dirà, eccetto l'occhio vigile al termometro che - nell'intervallo fra un'elezione e un'altra - contribuisce a determinare i rapporti di forza fra i partiti: i sondaggi. Se la fotografia del 4 marzo 2018, con il M5S piede perno e la Lega novità politica del centrodestra, è sbiadita ormai da un pezzo, non vi è strumento più indicato del gradimento elettorale per leggere allora gli ultimi scampoli "vibranti" di questo complicato 2020. Questo, per lo meno, è ciò che ha fatto OpenPolis in un dossier nel quale ha ripercorso l'oscillazione delle maggiori forze politiche nell'ultimo anno per spiegare alcune delle scelte e dei topoi dei rispettivi leader. C'è un dato, ad esempio, che accomuna tre fra i protagonisti più attivi di queste settimane: «Lega, M5s e Italia Viva sono gli unici partiti che dall'inizio dell'anno hanno ridotto il loro bacino di voti», spiega il centro studi.

Proprio il partito di Renzi (passato da un non brillante 4,4% di gennaio a un pessimo 3,4%) è oggetto della valutazione più spietata: «Non ha attecchito nel Paese ed è insidiato da Azione che si rivolge allo stesso elettorato». Ecco spiegato, fuori dai retroscena, l'attivismo sfrenato dell'ex rottamatore: ossia la necessità di affermare il proprio "perché" all'interno della maggioranza. Come? Con un braccio di ferro iper-drammatizzato con Conte ma mai tale da spingersi fino alla rottura definitiva. Il motivo è chiaro: Iv detiene «una posizione di forza in Parlamento. Posizione che, in base ai sondaggi, perderebbe nella prossima legislatura da cui anzi rischierebbe di rimanere esclusa». Non se la passano meglio i 5 Stelle i quali hanno dimezzato il tesoretto del 2018 già alle Europee, uscendo con un saldo negativo anche nel 2020: -0,7% (dal 15,4 al 14,7%). Con il flop grillino registrato in tutte elezioni locali, l'equilibrio con i neo-alleati del Pd - terzi in Parlamento, molto dietro i pentastellati - si è ribaltato, determinando tensioni crescenti nella maggioranza e fra i dem e lo stesso premier: «Il Pd, infatti, ha cercato di imporsi come guida della coalizione portando avanti i temi della propria agenda». Il fatto che ciò abbia determinato uno stallo messicano su alcuni punti - Mes e gestione del Recovery fund su tutti - contribuisce a determinare la cronica anemia di visione dei giallo-fucsia.

 

 

 

Sul fronte del centrodestra? Da registrare due dinamiche su tutte: il calo costante della Lega (resta primo partito ma scende al 23,8%, con un -7,3% da gennaio) e l'impennata di FdI (+11,8% dalle Politiche del 2018, oggi terzo partito italiano al 16,2%). Il corollario? La lotta per la leadership. «Fino a qualche mese fa la guida di Salvini pareva inattaccabile, adesso Giorgia Meloni si pone come un'alternativa molto forte», spiega OpenPolis secondo cui i due "quarantenni" non possono però che rimanere uniti. Il motivo? Se per gli obiettivi della leader di FdI - che insistendo sul tasto della coerenza e dell'opposizione a Pd e 5 Stelle ha più che quadruplicato il proprio consenso - non può esistere «una via diversa da quella di un centrodestra unito», anche in casa Lega la coalizione è un contrafforte irrinunciabile. Se è vero infatti che un governo-ponte eviterebbe a Salvini le elezioni anticipate, ossia una battaglia per la premiership apertissima, «allo stesso tempo cercare maggioranze alternative in Parlamento potrebbe costargli caro in termini elettorali, con FdI che potrebbe incassare il voto di molti elettori leghisti delusi».

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