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Paolo Becchi, "la mia libertà non ha prezzo: perché a Natale non rispetterò il dpcm"

Paolo Becchi
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In queste giornate uggiose di un insolito Natale, c'è una domanda che, penso come molti altri, mi sto ponendo: «Di fronte ad una legge ingiusta, di fronte ad un divieto che viola i miei diritti inalienabili, che prezzo sono disposto a pagare per oppormi?». Per favore, non si ripeta la ormai insopportabile lezioncina per cui le leggi si possono sempre criticare ma, finché sono leggi, le si deve sempre rispettare. E perché mai? Perché sono leggi. Perché la legge è legge. Questo "positivismo giuridico" da quattro soldi, è roba da tardo Ottocento, anche se ha fatto gravi danni nel Novecento. E poi non è questo il punto. Infatti io non dico che una legge ingiusta non sia più legge, dico solo che è giusto violarla. Ma - questa la replica - non si può violare una legge.

Certo che si può: solo, se ne paga, poi, la conseguenza - ossia la sanzione che la legge stessa prevede per la sua trasgressione. Ebbene, la domanda che continuo a farmi è allora la seguente: "che prezzo sono disposto a pagare per la mia libertà?". A nessuno piace essere "multato" con l'irrogazione di una sanzione amministrativa di 400 (seppur, impugnandola, si può sperare di vederla annullata). Ma la mia libertà, almeno 400 euro, li vale. Per la verità, penso che la mia libertà non abbia prezzo. E dunque in questo caso il timore della sanzione, almeno nel mio caso, non funziona. Se il prezzo da pagare è questo, sono disposto a pagarlo - la mia coscienza non mi permetterebbe di vendermi per 400 euro. Allora che faccio? Esco senza mascherina? Faccio ciò che voglio il giorno di Natale? Vado fuori Comune ad incontrare un amico? Potrei, certo. Ma servirebbe a qualcosa questo mio gesto liberatorio? Forse a salvare la mia coscienza.

Resta tuttavia un fatto squisitamente privato. E se non sono un personaggio pubblico neppure lo si saprà che io, Mario Rossi, ho violato delle disposizioni assurde come quella che prevede che non ci si possa muovere in quattro per andare a trovare i nonni a casa loro, mentre è consentito ai nonni di venire loro. Sono un matto io o addirittura un criminale che mette in pericolo la salute pubblica, oppure sono folli le menti che hanno partorito simili divieti? coraggio di reagire Ecco, i nostri governanti spadroneggiano esclusivamente perché la moltitudine, terrorizzata, inebetita, intimorita, assuefatta, ammansita, blandita, in una parola addomesticata, non ha il coraggio e la volontà, concreta, di reagire e di opporsi. Immaginate però, solo per un momento, gli agenti di pubblica sicurezza che si ritrovino improvvisamente a dover fermare al casello autostradale non una, dieci o cento, ma migliaia di persone che in auto esercitano la propria libertà di circolazione per andare a trovare i propri parenti fuori Regione. Impossibile. Non potrebbero. Ed il Re sarebbe, finalmente, nudo.

 

E invece nudi siamo noi, quei pochi che sbeffeggiati e isolati oseranno opporsi alla dittatura sanitaria. Eppure, se questo gesto liberatorio fosse compiuto da qualche personalità pubblica, allora certo la si potrebbe criminalizzare, ma non passerebbe inosservata, e forse potrebbe smuovere qualcosa. Perché qualcuno l'esempio lo può, e a volte lo deve dare. E le azioni dimostrative, talvolta, sono ciò che più serve a scuotere le coscienze. Non si può sperare che un popolo intero si sollevi, spontaneamente, senza che qualcuno - anche con il proprio personale sacrificio - non gli abbia indicato la via. schiavi della legge Rammentate la lezione di Hegel? Mi riferisco alla dialettica servo-padrone nella Fenomenologia dello spirito. Il servo è colui che non vuole rischiare la propria vita. Il servo si attiene alle leggi, e oggi ai decreti-legge: è colui che ha accettato di vivere come gli è stato imposto di vivere. Il signore è colui che, invece, ha accettato di mettere a repentaglio la propria vita e ha vinto. Eppure, chi è davvero finito in un vicolo cieco, tra i due, è il signore: perché, da uomo libero, non è disposto a riconoscere come "altro" il servo, colui che ha rifiutato la propria libertà. Questa è la tragicità della sua condizione di signore, del suo essere rimasto in fondo solo.

Ecco allora la conclusione sorprendente di Hegel: la vera libertà è quella del servo che si libera. Per questo chi cambia davvero la storia non è mai il singolo con la sua azione solitaria; è sempre il popolo che - dalla sua condizione servile - giunge a farsi padrone. Di questo c'è bisogno: che il servo passi attraverso la sua schiavitù, e che la sopprima dialetticamente. E se, in questo, l'azione esemplare del signore non è decisiva, potrebbe però risvegliare la coscienza del servo che, sopprimendo la propria servitù, diventa così uomo libero.

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