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Pietro Senaldi contro Conte: "Gli errori sul Covid li pagano gli anziani". Condannati a morire negli ospedali?

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Se il governo, anziché scegliere solo la via delle chiusure, avesse promosso un sistema per guarire i malati a casa, l'Italia avrebbe avuto probabilmente meno morti e non sarebbe il Paese con il primato mondiale di decessi in rapporto al numero degli abitanti. All'indomani dell'intervista rilasciata lunedì scorso a Libero da Giuseppe Remuzzi, nella quale il direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri spiegava come, intervenendo con semplici medicinali antinfiammatori, da somministrare ai primi sintomi senza aspettare l'esito del tampone, si riuscissero a guarire malati anche anziani senza doverli ricoverare, abbiamo contattato un importante geriatra italiano che ha combattuto la pandemia in prima linea nel suo ospedale e che ci ha fornito una chiave di lettura per capire lo tsunami che da un anno sta travolgendo il nostro Paese più di altri. Alla luce di quanto è accaduto, non possiamo più dire «andrà tutto bene», lo slogan con il quale il governo e i suoi menestrelli ci hanno fatto ingoiare il primo lockdown; vista l'analisi dei numeri che ci è stata fornita, non è sbagliato dire che «poteva andare meglio».

 

 

 

Come dimostrano le tabelle dell'Istituto Superiore di Sanità pubblicate in pagina, il virus non è mutato. Uccide con metodica costanza, secondo le medesime regole. L'età media delle vittime, da fine febbraio a oggi, è di poco superiore agli ottant' anni, all'incirca l'aspettativa di vita di un uomo in Italia. Oltre al dato anagrafico, è statisticamente identica nel tempo anche la condizione fisica generale di chi soccombe al virus. Il 90% dei morti ha più di settant' anni e l'80% è affetto da almeno tre patologie. In ordine di letalità, le malattie che, associate al Covid, si rivelano più pericolose sono ipertensione, cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, diabete, insufficienza renale, obesità e demenza. covid, polmonite e influenza L'esperienza di questi mesi ci ha insegnato che possono morire anche individui sotto i quarant' anni di età, ma essi rappresentano una minima parte dei decessi e, tranne situazioni eccezionali si tratta di persone già malate. Questi casi sfortunati, del tutto straordinari, sono spiegati dai medici ospedalieri come effetto di una reazione impazzita al virus da parte dell'organismo, che scatena una tempesta citochinica, ovverosia una risposta immunitaria e infiammatoria, talmente elevata da essere incontrollabile medicalmente. Ma questa non è una caratteristica esclusiva del Covid: reazioni simili si hanno anche negli altri casi di polmonite e infezioni respiratorie. All'inizio della pandemia, più di uno scienziato si riferì infelicemente al Corona come a un'influenza. Il paragone non è corretto, però coglie il punto nel rendere l'idea che non siamo di fronte a un morbo come l'Ebola, che uccide due malati su tre, a prescindere da età e condizioni di salute generale. I dati dimostrano che il Covid è un virus respiratorio che uccide i più fragili, ovverosia i malati gravi di altre patologie o coloro che hanno difficoltà d'equilibrio, scarsa massa muscolare, cammino rallentato, debolezze cognitive: questa è la definizione medica di soggetto fragile. Poiché, al netto delle considerazioni fin qui svolte, la malattia esiste ed è piuttosto contagiosa, resta da capire qual è la risposta che il governo potrebbe dare, in alternativa alla chiusura totale, e invece non fornisce. Oltre al Covid un ruolo decisivo ha avuto il panico generalizzato, del quale sono rimasti vittima molti trovatisi alle prese con un male che non aveva risposte efficaci sul territorio e a casa. Questo terrore, aggravato dai tentennamenti e dalla confusione che l'hanno accompagnato conditi da una comunicazione confusa, quindi spaventevole, ha trovato l'ospedale, con le conseguenze che sappiamo, come unico baluardo. Sono il panico e la disorganizzazione, non il sistema sanitario in sé, alla base della mancata risposta della medicina del territorio, la quale ha determinato l'assalto ai pronto soccorsi e agli ospedali.

Il panico aumenta i decessi - La ressa conseguente ha provocato la difficoltà nelle cure. Se questo poteva avere una giustificazione a marzo, non deve accadere oggi. A dieci mesi di distanza, la risposta che il governo dà è ancora la chiusura mentre, se avessimo imparato a curare il virus a casa, avessimo organizzato l'assistenza a domicilio agli anziani o adottassimo almeno il protocollo che il professore Remuzzi e alcuni medici della Bergamasca utilizzano per curare i loro pazienti, oggi potremmo permetterci di temere meno il virus, perché riusciremmo a curare senza affollare gli ospedali e senza che l'infezione degeneri quasi necessariamente in polmonite interstiziale, impedendole di salire alle alte vie respiratorie. La motivazione che sta alla base delle ultime chiusure è che, non avendo il governo altra strategia contro il virus se non l'attesa del vaccino, si tende a ridurre a zero i contagi, come unica possibilità di diminuire ricoveri e lutti. Più gli ospedali sono liberi infatti, più vite si salvano. Quello che però i geriatri, riferendosi anche al lavoro di Remuzzi, spiegano è che si possono ridurre i ricoveri anche se i contagi restano stabili o non esplodono.

Curare a casa salva vite - Non è utopia; sta avvenendo in Danimarca e Norvegia, nazioni dove la cosiddetta seconda ondata di fatto non c'è stata. La ragione principale è che in quei Paesi l'assistenza a domicilio per le persone anziane funziona; basti pensare che a Copenaghen il 20% degli ultra 65enni è già seguito al proprio domicilio, mentre da noi, di fatto lo è circa il 3%, ma se si considera che l'aiuto è in media di venti ore anno il dato reale scende di molto. Da questo deficit di cura derivano molti problemi di salute della terza età nel nostro Paese, che sono ben più gravi e diffusi di quanto si pensi. Se è vero infatti che siamo i più longevi al mondo, dopo i giapponesi, è altrettanto vero che mediamente trascorriamo da disabili gravi gli ultimi dieci anni di vita, mentre gli altri popoli europei arrivano alla vecchiaia più sani e vivono in condizioni drammatiche di salute solo gli ultimi 4-5 anni. Calma, prevenzione, cura da casa e organizzazione. Questi sono i farmaci politici contro la pandemia, in attesa della profilassi. Ci sono mancati tutti e manca ancora l'assenza di metodologia e cultura nella cura a domicilio. È incredibile che gli arresti domiciliari generalizzati siano preferiti dal governo alla cura antinfiammatoria a base di nimesulide o aspirina e, solo nei casi più gravi di cortisone ed eparina.

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