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Renato Farina contro l'Espresso: fin dove si spinge per ravanare su presunte trame in Vaticano

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Dall'inizio Libero ha scritto che il caso Becciu è in realtà il caso-Espresso. Chi ha armato le pagine del settimanale per attaccare il cardinale sardo, fedele esecutore, come Sostituto della Segreteria di Stato, delle volontà dei Papi (prima di Benedetto XVI e poi di Francesco)? Questa la domanda posta da Vittorio Feltri notando come il diavolo dopo aver costruito le pentole si fosse dimenticato i coperchi. Da cui l'errore bambinesco, la classica pistola fumante, delle dimissioni annunciate prima ancora fossero state decise dal Pontefice, e la vanteria di attribuire a una copia dell'Espresso fatta leggere a Bergoglio il «merito» della defenestrazione ottenuta grazie all'articolo di un falsario condannato per tale e già segnalato da una denuncia ai promotori di giustizia vaticani e allo stesso Guardasigilli della Santa Sede, cardinale Dominique Mamberti.

Come capita ai disperati che, secondo il motto romanesco, «nun ce vonno sta'», allo stesso modo si è comportato ancora in questi giorni il direttore che pur chiamandosi Damilano ha fatto suo quel motto alla vaccinara. E così ha ospitato un nuovo assalto alla baionetta di pastafrolla dell'autore dei servizietti ad uso dei calunniatori da dentro le Mura Leonine di Becciu, Massimiliano Coccia, a questo punto ridotto a manzoniano vaso di Coccia. Non è d'uso nostro storpiare i cognomi, ma impossibile sottrarsi alla tentazione, constatando la miseria del nuovo tentativo. Trattasi di un classico rinculo, detto anche ritirata strategica per salvare la faccia. L'amanuense che in passato si è spacciato per don Andrea Andreani, segretario del Papa, ha una sua strana potenza. Non dimentichiamo che è amico di Roberto Saviano ed è autore di interviste in ginocchio all'allora procuratore capo di Roma e attuale presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, assurto a questa carica senza competenze di diritto canonico e per meriti francamente piuttosto misteriosi, visto il clamoroso fiasco dell'inchiesta su Mafia-Capitale (niente mafia, ha sancito la Cassazione) cui doveva popolarità e prestigio.

E così Marco Damilano, pur protetto dall'omertà dei media italiani sulla base dell'assunto cane lecca cane, specie se è grosso (e l'Espresso appartiene al gruppo Gedi-Agnelli, con Repubblica, Stampa, Secolo XIX, quotidiani locali, Radio e tivù), ha rimesso in campo il suo campione di turlupinature per tutelare la periclitante reputazione del periodico. E ha investito ancora sul tema mandando lo sventurato Coccia ad addentare la preda. Il risultato pubblicato con enfasi sul web e sul cartaceo è un depistaggio malaccorto. Per eterogenesi dei fini rivela due verità: 1) l'Espresso non ha più carte fresche, deve rimestare roba antica; 2) si capisce che Becciu era stato scelto come bersaglio perché leale e fedele al Papa, fuori però dal cerchio dei bergogliani che stanno pensando al proprio futuro post Francesco: l'attacco era a Becciu, uccidendo lui per indebolire la credibilità della Chiesa e lo stesso Papato, disarticolandone la struttura di governo nella sua giuntura più salda e al di sopra di qualunque diceria di corruzione.

 

 

Se Becciu è marcio, tutta la Chiesa è marcia. Il suo cadavere - inteso come istituzione materiale - da distribuito a iene ed avvoltoi perché, ufficialmente, sia nuda e pura. In realtà svuotata del tesoro dei poveri per darlo ai ricchi adulatori. Ecco, il secondo punto è quello nuovo fiammante, ma in realtà di antico pelo predatorio. La sanità vaticana fa gola. È un boccone appetitoso. Come si fece a suo tempo nel 1993 con il patrimonio dello Stato italiano, che fini praticamente gratis nel piatto del capitalismo straccione e antipatriottico di Torino e quindi a Parigi e Londra, ora partendo da Becciu si profilerebbe lo smantellamento dei beni della Chiesa e il passaggio di mano delle sue opere: le quali - in nome del «beati i poveri» - ingrasserebbero i soliti ricconi abilissimi nel rendere onore a Francesco purché come Pinocchio affidi al Gatto e alla Volpe le monete d'oro. Si noti il titolo della cosiddetta inchiesta «Scandalo in Curia, obiettivo Bambin Gesù». È l'ospedale che è la gloria pontificia della cura disinteressata per gli innocenti malati. I quali spesso sono scaricati come merce di scarto da cliniche à la page perché senza chance di una vita «normale».

L'articolo di Coccia cerca di mettere in relazione i traffici dei lupi intorno alla sanità cattolica mettendoli in conto alle trame di Becciu. Peccato non ci sia neppure non diciamo prova ma neppure indizio contro il piccolo prelato sardo. Il cardinale Angelo Becciu - e ciò vale per i Sostituti predecessori e per l'attuale - non ha mai avuto a che fare con ospedali e simili. La sanità è stata sempre area esclusiva dei Segretari di Stato. Soprattutto sul Bambin Gesù, carissimo ai Pontefici, il Sostituto non vi ha storicamente alcuna competenza, fa semplici accuse di ricevimento delle eventuali comunicazioni provenienti dall'ospedale e le trasmette più in alto. Sulle questioni opache della sanità all'ombra di San Pietro si è diffuso il sito di informazione vaticana più attento al tema (korazym.org), e ha concluso: Becciu non c'entra nulla, prima si smonteranno formalmente le accuse al cardinale, meglio sarà per la Chiesa e per il Papato. Francesco - a quanto ci consta - se ne sta accorgendo.

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