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Gregoretti, Pietro Senaldi: così Conte e grillini si sono impiccati con le loro mani

Pietro Senaldi
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 I processi contro Salvini per sequestro di persona si stanno rivelando un autogol per il governo e per la maggioranza giallorossa. In due anni e mezzo passati a Palazzo Chigi, di una cosa poteva vantarsi Conte di fronte agli italiani: essere stato una buona spalla per il leader leghista e non averne ostacolato la politica in tema di immigrazione e sicurezza quando questi era ministro dell'Interno. Invece, per vendetta, odio e miopia, il premier e i suoi alleati grillini hanno rinnegato i propri, scarsi, meriti pur di danneggiare l'ex alleato.

Quando Matteo era ancora al Viminale, M5S lo salvò con un voto parlamentare dal processo Diciotti, la nave della Guardia Costiera sulla quale il Viminale trattenne per due settimane oltre un centinaio di clandestini. Caduto il governo, i cinquestelle, tra battimani, olé belluini e tappi di champange che volavano, hanno spedito l'ex collega alla sbarra per il caso Gregoretti, analoga vicenda che si distingue solo per il fatto che il divieto di sbarco è durato un paio di giorni e non quattordici. Non sapevano, i poveretti, di festeggiare il proprio suicidio. Forse lo immaginava Renzi, che votò contro il suo omonimo Matteo e che adesso, nel momento in cui sta scagliando una potente offensiva politica contro il premier, se lo ritrova impicciato in guai giudiziari.

L'avvocato Bongiorno, senatrice leghista, ha infatti esibito le prove che il presidente del Consiglio sapeva, e ha avallato, la scelta di Salvini di non sbarcare i profughi, per la quale l'ex ministro è incriminato per sequestro di persona. Esimi costituzionalisti avevano da tempo allertato Conte, ricordandogli che, da capo del governo, non solo condivide la responsabilità politica del negato sbarco, episodio sotto gli occhi di tutti e al quale il premier non si era opposto, ma anche, in caso si procedesse per reato, quella giuridica, giacché non impedire un evento criminale che si ha il dovere di impedire equivale a cagionarlo.

 

 

 

 

Ora c'è anche la prova della sua responsabilità materiale. Resta da capire come un avvocato esperto quale il presidente del Consiglio abbia potuto infilarsi da solo il cappio al collo. La risposta sta nell'arroganza del potere. Giorni fa titolammo su Libero che «Il Covid dà alla testa» riportando uno studio sui danni cerebrali che il virus può portare con sé. L'espressione torna buona per descrivere la trasformazione del premier da Re Travicello a Charlie Chaplin in versione piccolo dittatore, che balla solitario nella sua stanza con la cartina colorata dell'Italia tra le mani. Conte e i grillini non hanno mandato a processo Salvini perché persuasi che egli abbia commesso un reato, il quale per inciso non esiste neppure secondo la procura, che per due volte ha chiesto l'assoluzione dell'ex ministro, ma semplicemente per punirlo per aver tentato di sgambettarli.

E, visto che stavolta come alleati di governo non hanno la Lega ma il Pd, erano persuasi di godere di una sorta di impunità per la loro complicità. Ma le cose cambiano in fretta quando ci si regge su una maggioranza color Arlecchino, tenuta insieme solo dalle poltrone; e poi di dem e toghe, come di donne e mare, non ci si può fidare. A questo punto, l'avvocato di Volturara Appula deve solo sperare nel proscioglimento di Salvini, in modo da cavarsela con una figuraccia anziché con una chiamata in correità, che plausibilmente segnerebbe la fine della sua esperienza di governo. Siccome ha più sedere che cuore e cervello, supponiamo gli andrà bene.

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