Renato Farina, invidia per la Regina Elisabetta che si fa il vaccino: "Un bell'esempio che dà agli inglesi"
Ci sono gesti minimi la cui semplicità stordisce per la carica di significato che acquistano. E in questo caso per l'invidia che suscitano in noi italiani, tanto qui l'accadere di qualcosa di simile appare un miraggio. Ci riferiamo alla scelta di Elisabetta II che ha annunciato di essersi iscritta alle liste per la vaccinazione anti-Covid insieme al marito Filippo. Non sarà in testa al corteo regale di chi da stamani presenterà il braccio all'infermiere per l'iniezione. Si è messa ordinatamente in fila, come usa da quelle parti. La priorità è stata data dal governo agli ospiti delle residenze per anziani e a chi li assiste. Vengono dopo gli operatori sanitari e gli ultra ottantenni. La Regina ha 94 anni, il Principe di Edimburgo sfiora i 100. La coppia regale potrà accedere alle dosi del farmaco Pfizer/BioNTech probabilmente ai primi di gennaio. Alcuni avevano provato a spargere maliziose notizie di sovrane precedenze: non si fa, neppure immaginarselo. A 18 anni, la principessa durante la seconda guerra mondiale, seguendo questa regola, si iscrisse, come una dei tanti, al Comense Auxiliary Territorial Service, Rispondeva all'appello mattutino al nome di «seconda subalterna Elizabeth Windsor»; ricevette un addestramento a Londra come meccanico e autista di veicoli militari. Non siamo qui a fare un ritratto estasiato di una Regina (un po' sì, lo confesso) ma a segnalare un fenomeno.
Un popolo riesce a reggere agli urti tremendi della storia, quando si stabilisce una corrispondenza sorprendente di sentimenti e ragioni tra chi regge lo Stato e la nazione che ne è rappresentata. Come scatti questa identificazione appartiene agli enigmi che la razza umana si porta dietro, e non si è ancora trovato l'algoritmo perché l'evento si verifichi a comando. Accade. E allora si superano di slancio ostacoli un istante prima insormontabili. E ci si muove per tempo, spes contra spem, sulla base di amori più forti delle convenienze di bottega. E, chissà perché, si vince. Non siamo razzisti, neanche all'incontrario, per cui non crediamo alla superiorità generica degli anglosassoni, e neppure delle loro dinastie regnanti (che ha allignato in parecchi mascalzoni), neanche dipende da un marchio spirituale, come vorrebbe la filosofia romantica, che caratterizza una certa stirpe. C'entrano la cultura e l'educazione: sia per la gente comune che per chi la guida. L'Inghilterra, o meglio il Regno Unito, ha sperimentato durante la seconda guerra mondiale che cosa significa questa unità di intenti e di azione scattati per un attaccamento potente alla propria identità e continuità di ideali. E così il Parlamento e la Corona, in sintonia con i cittadini, misero da parte un premier che era stato eletto ma si era dimostrato imbelle, quel Neville Chamberlain che si fece burlare da Hitler, e fece ascendere al posto giusto l'uomo giusto, Winston Churchill. Com' è finita la guerra lo sappiamo. Poi gli inglesi non furono riconoscenti. E bocciarono l'eroe appena nel 1946 si indissero nuove elezioni. Funziona così. Nessuna voglia di rivalsa, nessuna amarezza: Churchill si godette i sigari Havana e il Cognac armeno. Fu persino rieletto. Vinse il Nobel per la letteratura (non quello per la pace: mica era Obama o Arafat).
E poi c'è la monarchia. Non è merito della istituzione la stabilità di sentimenti che ha retto la vita del popolo inglese, ma della qualità di chi la incarna. Elisabetta è sul trono da 68 anni. Ha attraversato anni orribili. Non è stata fortunatissima con i figli. Non si è mai persa d'animo, sopportando dolori tremendi, spiritosa con se stessa, senza mai mancarsi di rispetto, perché lei non è solo lei, ma il suo popolo. Per questo non ha esitato, e per dare l'esempio, bruciando gli scettici sull'invincibilità del Covid porge il suo antico e candido braccio al vaccino. C'è stato un momento drammatico, lo scorso marzo. In quei momenti non funziona l'allenamento, ma conta l'anima. Il primo ministro Boris Johnson era in terapia intensiva ed Elisabetta prese in mano le redini del Paese. Aveva un abito verde chiaro, i capelli bianchi come la neve, un filo di rossetto, rassicurante, solida. Dopo di allora ci sono stati 61mila morti di Covid, quasi due milioni di infetti: come in Italia. Ma che differenza. La sua persona diceva, ben oltre le parole, che nessuno doveva sentirsi abbandonato, il decoro e l'orgoglio della nazione erano in buone mani. Che invidia.