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Patrimoniale, la vergogna di una sinistra che predica la ricchezza come un furto

Iuri Maria Prado
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Probabilmente ovunque, ma sicuramente qui da noi, il presupposto della patrimoniale non è tecnico-emergenziale ma ideologico-punitivo. Non si tratta di dar da mangiare a chi ha fame chiedendo un aiuto a chi può permettersi di darlo: si tratta di porre mano all'ingiustizia costituita dal puro fatto della ricchezza nell'idea che questa sia prodotta e goduta ai danni di chi ha meno. Il "ricco" (e nella definizione è compreso il Paperone col bilocale ereditato dal nonno, una ricchezza gravata da non si sa più quanti balzelli) è quello che vede nel proprio lavoro lo strumento per l'accumulazione di un benessere legittimo, ma in questo Paese evidentemente sbaglia perché non capisce che in verità è il responsabile di un oltraggioso esproprio.

Che le sue proprietà siano pagate due volte - prima con il lavoro necessario a ottenerle e poi con le tasse già massacranti reclamate dalla belva statale - costituisce un dettaglio completamente irrilevante, e quei risparmi, quella casa, quella vettura che non cade a pezzi, sono soltanto il segno di un'appropriazione socialmente indebita. L'idea che chi guadagna bene e ha messo da parte qualcosa non ruba nulla a nessuno è estranea a quella cultura, tanto quanto quella - opposta e qui blasfema - per cui è semmai lo Stato inefficiente, corrotto, scientificamente impegnato nel mantenimento di folle improduttive, nello sperpero, nell'assicurazione di prebende indebite, è semmai questo Stato a espropriare benessere e a diffondere ingiustizia sociale.

Ma non c'è verso. La propensione statalista - l'inguaribile rogna di questo Paese - si riafferma nell'inossidabile desiderio redistributivo, tanto più bruciante quando l'economia è infettata e con la rigorosa esclusione dell'ipotesi, anche solo dell'ipotesi, che se l'Italia è messa male nei conti non è colpa del possidente con villetta in collina ma di un sistema fatto di dieci milioni di persone che ne mantengono sessanta. E una buona quota di quei dieci è fatta di quelli che ora alcuni vorrebbero mettere nei programmi di esproprio, come se non bastasse la sciagura che li ha seppelliti sotto una montagna di debiti grazie al lungimirante modello italiano che gli ha fermato per mesi l'attività.

Nella Repubblica democratica fondata sul lavoro ha poca cittadinanza il principio liberale secondo cui impegnarsi per acquisire proprietà, e il diritto di rivendicarle e difenderle, costituiscono diritti dell'uomo. E se anche solo qualcuno vagheggia di altre patrimoniali, come se non ce ne fossero già a bizzeffe, è perché viviamo in questa balorda Repubblica: dove ancora - anno 2020 - un parlamentare comunista riesce a prendere applausi se, a fondamento della proposta, grida "a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità".

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