Governo-opposizione, la tregua sul bilancio? Il timore: ecco a che cosa ci può portare
Il recente voto favorevole del centrodestra allo scostamento di bilancio, al di là delle ragioni contingenti, fornisce l'occasione per riflettere su una anomala tradizione politica italiana - mai del tutto abbandonata - che ha impedito un pieno sviluppo del nostro sistema democratico. In una democrazia liberale, segnata da due schieramenti legittimati a governare, chi vince assume la guida dell'esecutivo, mentre coloro che perdono restano in attesa del successivo appuntamento elettorale esercitando, nel frattempo, un attento controllo parlamentare sull'attività di governo. Nella storia politica italiana è accaduto raramente. Dal "connubio" preunitario di Cavour al trasformismo inaugurato da Depretis fino al consociativismo della prima Repubblica, il nostro Paese alla democrazia dell'alternanza ha sempre preferito la costituzione di "coalizioni inclusive di centro".
Chi raggiungeva il potere tendeva a conservarlo il più a lungo possibile, cercando di allargare sia la propria influenza in settori strategici della vita pubblica che le basi della stessa maggioranza. Tutto ciò è accaduto nell'Italia liberale a causa della presenza di significative forze anti-sistema (cattolici, repubblicani e socialisti) all'epoca non disponibili al gioco democratico. E si è ripetuto - quel che a noi più interessa - nella vita politica della Repubblica. In questo caso, come si sa, le ragioni sono riconducibili a due circostanze storiche, ovvero alla guerra fredda e all'egemonia esercitata dal Partito comunista - legato all'Unione Sovietica - nello schieramento di sinistra.
In un contesto siffatto, trova legittimazione la lunga permanenza a Palazzo Chigi della Dc con l'inevitabile conseguenza che il potere inteso in tutte le sue sfaccettature - dalla sfera politica a quella economico-finanziaria - per una questione di sopravvivenza finisce con lo strutturarsi pericolosamente (creando le premesse di Tangentopoli) intorno alle "coalizioni inclusive di centro". Una volta caduto il Muro di Berlino, il nostro Paese scopre di non avere mai fatto pienamente i conti con le procedure tipiche delle democrazie mature caratterizzate da governi alternativi e da un elevato grado di autonomia dei diversi poteri dello Stato.
Ci si era illusi, dopo la sconfitta della Prima Repubblica, che il costume politico fosse destinato, sulla spinta anche della nuova legge elettorale per buona parte maggioritaria, a mutare registro. Non è stato così del tutto, ma una nuova mentalità politica - sia a livello di governanti che di elettori - imperniata sulla distinzione fra chi governa e chi svolge il ruolo di oppositore si è comunque affermata. In tal senso, c'è da sperare che l'eccezionalità economico-sanitaria che ha portato nei giorni scorsi a una convergenza fra esecutivo e opposizione, non venga considerata da una parte della classe politica come un modo per muoversi, ancora una volta, lungo i binari della peggiore tradizione, ossia quella trasformistica dell'Italia liberale e quella consociativa dell'Italia repubblicana.
In un Paese che per quasi 160 anni di storia non ha mai avuto vero rispetto per le regole della democrazia liberale, il rischio che si possa ricadere nei vizi antichi c'è sempre. Se così fosse, anche quel poco di cultura liberaldemocratica che abbiamo faticosamente conquistato negli ultimi anni verrebbe azzerata: sarebbe il trionfo della democrazia incompiuta.