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Giovanni Orsina su Silvio Berlusconi: "Stampella a Giuseppe Conte? Non vedo che vantaggio può dare"

Fausto Carioti
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Giovanni Orsina è ordinario di Storia contemporanea e direttore della School of Government presso l'università Luiss di Roma. Studia il centrodestra da decenni. È convinto che cambieranno molte cose, anche nel rapporto tra popolo ed elettori, perché dall'epidemia uscirà un Paese «disperato ed arrabbiato».

Professor Orsina, il centrodestra un giorno sembra esplodere, quello dopo pare a un passo dalla federazione, poi si scompone di nuovo. Giorgia Meloni propone una «confederazione», una via di mezzo che consentirebbe ai tre partiti di restare distinti. Il punto è che, quando si parla di Europa e mercato, le differenze tra Forza Italia da un lato, Lega e Fdi dall'altro, sono grandi e lo resteranno. Che senso ha cercare una unità in cui nemmeno loro credono?
«Il senso è che un centrodestra compatto e capace di avanzare una proposta politica chiara, coerente e responsabile avrebbe un impatto devastante sulla marmellata dell'attuale situazione politica italiana. Si prenderebbe tutto, e anche subito. Senonché, appunto, quel tipo di centrodestra esiste solo nelle ipotesi degli addetti ai lavori. Nel mondo reale non ha la minima possibilità di nascere. Né oggi né, probabilmente, domani».

 

 

Qual è l'ostacolo?
«Non pesano soltanto gli interessi di bottega (legittimi, per altro) e le ambizioni personali (legittime anch'esse), ma, come lei dice, le vere e profonde divergenze politiche fra la "vecchia" destra popolare e la "nuova" destra populista. Queste divergenze non possono essere risolte adesso, perché non sappiamo ancora che faccia avrà la "nuovissima" destra che verrà all'indomani della pandemia. Insomma: ci sono troppe questioni aperte perché il centrodestra decida adesso o in un senso (esplosione definitiva) o nell'altro (confluenza strutturale)».

Eppure, a leggere gran parte delle cronache, negli ultimi giorni è successo qualcosa di epocale. Silvio Berlusconi è tornato de facto leader del centrodestra, maggioranza e opposizione condividono gli obiettivi di finanza pubblica. La vede così pure lei?
«Mah. Proprio perché la situazione è così fluida e le variabili in movimento così numerose, baderei a non scambiare passaggi tattici, pur significativi, per svolte epocali. Berlusconi in questo momento è un elemento di dinamismo e sta guadagnando centralità politica e visibilità. Ha sicuramente segnato un punto a proprio favore. Ma qual è la prospettiva strategica? Fare da stampella permanente del governo? Entrare in maggioranza? Sono approdi molto difficili, e non vedo che cosa possa davvero guadagnarci Forza Italia».

Ammesso che gli elettori riescano a orientarsi nelle manovre interne al centrodestra e nelle trattative col governo, qual è il messaggio che ne ricavano?
«Siamo sicuri che gli elettori si accorgano di tutti questi movimenti e che gliene importi qualcosa? La mia impressione è che tutto questo interessi a lei, a me e agli altri mille e quattrocento novantotto lettori di giornali di cui parlava Enzo Forcella. Dicevo prima delle incertezze del futuro: ecco, forse la più importante è quanto disperato e arrabbiato uscirà il Paese dalla pandemia. Perché se dovesse uscirne molto disperato e molto arrabbiato - come, purtroppo, non è improbabile che accada - allora tutti i discorsi che facciamo oggi sul centrodestra e sulla situazione politica italiana saranno spazzati via, e chi leggerà queste righe fra qualche anno si farà delle grassissime risate».

Sono il debito pubblico e le promesse facili l'unico terreno d'incontro possibile tra maggioranza e opposizione? Siamo ancora lì, al Pus, il Partito unico della spesa?
«Vabbè, il Pus governa l'Italia nelle situazioni ordinarie, si figuri in una pandemia. In questo momento è difficile intravedere alternative, e soprattutto sarebbe estremamente impopolare chi dicesse che bisogna tirare i cordoni della borsa. Il problema mi sembra un altro: una politica seria oggi spende sì, per fronteggiare la pandemia, ma fa pure di quella spesa un tassello di una strategia di lungo periodo nella quale il debito, reinvestito, ripaghi se stesso. Qui invece si spende come se non ci fosse un domani. Invece il domani verrà. E non sarà bellissimo».

Resta il fatto che Berlusconi, almeno nel palazzo, ha dimostrato una capacità di movimento che Matteo Salvini non ha. Così come il leader della Lega non dispone di quei rapporti internazionali che un aspirante premier dovrebbe avere. Il tweet con cui Donald Trump "insediò" Giuseppe Conte e il governo giallorosso disse molte cose anche in questo senso. Salvini è in tempo a rimediare o queste carenze sono già una condanna definitiva?
«Il tempo ci sarebbe, però ci vorrebbe una strategia. Salvini è un raccoglitore di consenso di prima classe, ma nell'utilizzare politicamente questo consenso finora si è dimostrato assai debole. La pandemia ha messo in particolare evidenza i suoi limiti. È vero che non sappiamo come usciremo da tutto questo, e che quindi restare in una posizione ambigua può convenire. Però una politica di successo è fatta anche di intuizione e lungimiranza. Finora se ne vedono assai poche dalle parti di Salvini. E non soltanto dalle sue, a essere onesti...».

Da tempo, ormai, il centrodestra è attorno al 48-49%, stessa percentuale presa alle Europee. A cambiare è il peso dei tre partiti e nell'ultimo anno a guadagnarci è stato solo Fratelli d'Italia, ormai terza forza politica, che guadagna tutto ciò che la Lega perde. Cosa sta facendo la Meloni che a Salvini non riesce?
«È coerente, affidabile e rassicurante. Se la pandemia ha evidenziato i limiti di Salvini, allo stesso modo ha messo in rilievo i pregi di Meloni. In un'emergenza è meglio esser guidati da una madre di famiglia che da un demagogo scapestrato».

Potrà essere la Meloni la leader del rassemblement di centrodestra e magari il futuro premier?
«E perché no? La politica italiana si muove a una tale velocità che possono accadere cose ben più improbabili di questa, che poi tanto improbabile non è. Le condizioni sono la tenuta complessiva dell'area sovranista e la prosecuzione del travaso da Lega a FdI, perché gli elettori vogliono sì i sovranisti, ma li vogliono responsabili. Non è detto che vada così, naturalmente, ma potrebbe anche darsi».

Che Italia sarà quella che alla fine uscirà dal Covid? Parleremo di destra e sinistra, o di popolo e di élite, o di affamati e garantiti? O di cosa altro?
«Non lo sa neanche Iddio. Il futuro di fratture storiche come la pandemia è impossibile da prevedere: né l'entità del cambiamento, né la sua direzione. Come detto: fra qualche anno uno storico leggerà magari queste righe, e si divertirà enormemente nel vederci parlare seriamente di questioni che, osservate da allora, parranno come bisticci fra le cortigiane di Maria Antonietta visti da Alexis de Tocqueville».

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