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Renato Brunetta, quando di Luigi Di Maio diceva: "Ignorante, spudorato, vergognati. E trovati un lavoro"

Giovanni Sallusti
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Non la faremmo troppo lunga, non staremmo lì ad avventurarci in analisi politologiche della domenica, nemmeno nobiliteremmo troppo il tutto con l'ultimo slogan di moda, "la concordia nazionale" in un Paese che raramente è stato nazione. Molto più fattualmente, e diremmo italianamente, registriamo che Renato Brunetta, già quinta fila del craxismo, quindi Premio Nobel per l'Economia mancato, ma solo perché aveva anteposto l'attività militante a quella teorica (lo disse lui con equilibrata percezione di sé durante una puntata di Matrix ad Enrico Mentana), poi candidato trombato (due volte, l'ostinazione è un difetto che gli va riconosciuto) a sindaco di Venezia, recentemente gran visir di una Forza Italia anti-sovranista (qualunque cosa voglia dire), ha abbandonato la politica a favore del cabaret. In era grillina, in cui il partito di maggioranza parlamentare è teleguidato da un comico in disarmo, è una scelta anche comprensibile.

E il grillismo è infatti la chiave per spiegare l'ultima metamorfosi professionale del professor Brunetta, uno che si è sempre definito un "liberalsocialista", ovvero un ossimoro vivente. In particolare, l'entusiasmante ed affidabile grillismo "di governo" incarnato da Giggino Di Maio, per cui il nostro (o il loro?) confessa uno stordente "innamoramento politico". Che forse gli fa smarrire qualche grammo della sua nota lucidità, visto che quando va a descrivere l'oggetto dell'amore in un'intervista al Corriere della Sera, ne esce un ritratto che retrospettivamente fa sembrare Alcide De Gasperi uno scialbo consigliere di circoscrizione. «Mi tuffo nella lettura dell'articolo di Di Maio (una lettera inviata al Foglio-ndr). In alcuni passaggi, quasi non credo ai miei occhi. Sorprendente, brillante, molto vicino ad alcune posizioni di Forza Italia».

 

 

PAROLE SORPRENDENTI
E mentre tu sei lì a chiederti se è Di Maio ad aver fatto proprie le ragioni dell'Italia che produce, o Forza Italia ad essere diventato il partito del reddito di poltronanza, Brunetta è già oltre, in piena commedia dell'arte. «Mi creda, lungi da me volerla mettere sul piano accademico», è la premessa con cui innesca il climax verso il ridicolo, come ogni comico consumato. «Però, sembrava uno dei miei studenti più preparati, uno di quelli di cui volentieri avresti fatto il relatore alla tesi di laurea». Ci sarebbe il dettaglio per cui Giggino non si è mai laureato, pur avendo cambiato due facoltà (Ingegneria Informatica e Giurisprudenza), ma per carità, qui non siamo feticisti del pezzo di carta. Nemmeno Benedetto Croce si laureò, tuttavia facciamo notare col maggior tatto possibile che non risulta Di Maio abbia partorito scritti analoghi alla "Logica come scienza del concetto puro". In ogni caso, Brunetta non la vuole «mettere su questo piano», nonostante gli indubbi meriti filosofici dell'ex bibitaro. Il punto è un altro: «quello della leadership». «Di Maio è un leader, non si discute. Un leader vero. In lui ho visto la fatica che fanno i veri leader, la più gravosa, quella di rendersi protagonisti della necessaria metamorfosi delle forze politiche che guidano. Ecco, Di Maio sta trasformando un movimento caotico in un partito strutturato e responsabile». A noi pareva un abatino dall'italiano claudicante, che in due anni ha portato una realtà politica, movimento o partito che sia, dal 33% al 15% degli ultimi sondaggi (e al 7% raggranellato in alcuni territori alle ultime elezioni), ma tant' è, siamo mica premi Nobel mancati.

CONTRASTI PASSATI
Abbiamo solo una domanda, da girare al cabarettista Renato Brunetta. Cosa ne pensa di quel politico, Brunetta Renato, che dipingeva il suo idolo come segue. «Spudorato e ignorante. Stai truffando i cittadini. Vergognati e studia un po' di diritto costituzionale. Trovati un lavoro» (febbraio 2018). «Spacconi!» (2017, riferito a Di Maio e Renzi, altro attuale socio di voglie grancoalizioniste), «toglietegli il vino!» (sempre 2017). Ma è una domanda inutile e capziosa, quel politico non c'è più. Di vino, invece, ne scorre sempre in abbondanza. Specie tra le sciantose del cabaret. 

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