Pd, un partito bipolare: moltiplica il debito e poi vuole cambiarlo. In che mani siamo?
Sulle infrastrutture il Presidente Giuseppe Conte sembra bipolare. Oggi le vuole a tutti i costi, ieri le ostacolava a seconda degli umori della politica. Un esempio su tutti viene addirittura dalla sua Puglia: il Tap, che è la più grande opera realizzata dall'Italia negli ultimi anni. Fu osteggiata proprio dal Premier, colui che oggi invece è chiamato a progettarne di simili se vuole accedere ai fondi dell'Ue per la ripartenza post Covid. Quello che fu il "tubo" della discordia è finalmente entrato in funzione senza alcun danno per l'ambiente né per i territori da cui passa, ma se ciò è stato possibile, e un'opportunità sul piano energetico, su quello dello sviluppo e su quello strategico dell'Unione europea è stata colta, non è certo per l'intraprendenza del Movimento 5 Stelle né per le larghe vedute del Presidente del Consiglio ma solo grazie all'intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dell'allora ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi che nel luglio 2018 si recarono in visita di Stato a Baku, in Azerbaijan, prendendo una posizione decisiva sul dossier ostacolato dai grillini e tenuto nel limbo dell'indecisione da Giuseppe Conte.
Un precedente di grande attualità ora che il governo si trova a dover presentare, in ritardo e già ultimo in Europa, un piano di opere strategiche, proprio come il Tap, per il rilancio dell'economia attraverso l'utilizzo dei fondi europei. Ma all'orizzonte non si vedono né progetti di investimento né programmi di riforme strutturali per il dopo virus. E non c'è da meravigliarsi, visto che al governo ci sono proprio quel Presidente del Consiglio e quei 5 Stelle che già tante volte si sono dimostrati di fatto allergici alle grandi opere per lo sviluppo (No Tav, No Tap...). Un governo che preferisce piuttosto distribuire bonus, incurante del fatto che ogni euro speso oggi, domani dovrà essere ripagato, visto che il Patto di Stabilità europeo, che pone i vincoli di bilancio all'Italia, adesso è sospeso ma non potrà esserlo per sempre. La stessa Commissione europea è divisa al suo interno tra chi intende farlo tornare operativo già dal 2022 e chi dal 2023, ma che le regole saranno nuovamente in vigore, e severe nei confronti dell'Italia, è fuori discussione. Tanto più che quella della sospensione dei vincoli è soltanto una clausola, neanche tanto esplicita, dei regolamenti applicativi dei Trattati, per oggi interpretata in senso favorevole ai governi e momentaneamente accettata, ma suscettibile di cambiare da un giorno all'altro. Nella maggioranza si va avanti pensando che basti approvare scostamenti di bilancio in Parlamento, magari con il benestare di tutte le forze politiche, cioè aumentare deficit e debito, per risolvere i problemi.
Ma non è immaginabile continuare senza conseguenze all'infinito. E qui ritorna la mancanza nell'esecutivo di visione strategica sul futuro: non solo non si sa che investimenti fare ma neanche come ripagare i debiti. Tra l'altro, proprio il Pil generato da opere strategiche realizzate velocemente è fondamentale per rientrare dalle passività accumulate: un circolo virtuoso che il Presidente Conte non ha idea di come innescare. Piuttosto ci si dedica, soprattutto nel Partito Democratico, a esercizi da pifferaio magico su eventuali cancellazioni da parte della Banca Centrale Europea del debito contratto dagli Stati per far fronte all'emergenza Covid e sul nome da dare al Mes per farlo digerire ai grillini. E la maggioranza si spacca ulteriormente, con il PD diviso tra il Presidente del Parlamento Ue David Sassoli a favore di questi escamotage, e il commissario Paolo Gentiloni, ormai nel ruolo del gendarme UE, il segretario Nicola Zingaretti e il ministro Roberto Gualtieri contrari. Se il M5S ha lo sguardo corto sugli investimenti, dunque, il Pd ce l'ha sul debito. Anche perché si continuano a proporre soluzioni vecchie a problemi nuovi, come quelli posti dal Coronavirus. E l'incognita è talmente forte che non ci si azzarda neanche a fare ragionamenti sul dopo. Un punto di gravissima incertezza per l'economia, che così farà ancora più fatica a riprendersi.