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Angelo Becciu, Vittorio Feltri: "Montatura tossica per incastrarlo". Le carte che assolvono il cardinale

Vittorio Feltri
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Ore 20.12 del 24 settembre scorso. Tg1. Un nome sardo, prima sconosciuto al popolo, fa irruzione sulla scena pubblica. Da quel momento, le due sillabe Bec-ciu sono entrate nelle orecchie e immagazzinate nel cranio di chiunque abbia acceso la tivù o sfogliato un giornale. Becciu, il cardinale Becciu si è dimesso. Più precisamente Angelo ex cardinale Becciu. Anzi, si rettifica con un certo sadismo il 25: è ancora cardinale ma escluso dal futuro conclave e da qualsiasi carica per indegnità. Eminenza sì, ma solo per non costringerlo a rifarsi il guardaroba e l'intestazione sul citofono, magari per facilitare il drìn fatale, quando passerà Lucifero con il suo sacco. Ma certo che Becciu è dannato. Tocca riepilogare per sommi capi come negli ultimi 56 giorni si è cementificata la reputazione di questo che prima di essere cardinale e prete, resta pur sempre un uomo, e come tale infilato, con il sovrappiù di un berretto rosso che fa chic, in un pilastro, secondo il più classico dei copioni di lupara giornalistica bianca, che non è solo giornalismo cattivo, ma servizio ad apparati di cui mi guardo bene dal pretendere la decifrazione.

 

 

Ci vorrebbe il mio amico Francesco Cossiga, ma bisogna accontentarsi. Nel nostro archivio mentale questo piccolo prete sardo, 72 anni, in questo momento risulta depositato nel cassetto dove stanno gli scandali senza rimedio. Sin dal primo istante è stato qualificato come «nemico del Papa», identificato con il cancro chirurgicamente estratto dal corpo corrotto del Vaticano. Fin qui, chi non è avvezzo a incenso e candelieri, poteva incasellare la vicenda nel capitolo affari & affaracci di Curia. Ma il pepe che ha pizzicato il naso di tutti e il nostro bisogno perenne di sentirci migliori e di impiccare al primo palo il potente di turno, calzoni o talare non importa, è la motivazione di questo licenziamento pontificio. Una bestemmia di quelle da stracciarsi le veste, da far sprofondare il colpevole con Barabba e Giuda, senza perdono possibile, perché Francesco l'ha cacciato, secondo le definizioni correnti, perché «ladro di elemosine destinate ai poveri». Dopo la prima sorpresa per l'impatto dell'accusa, di solito c'è un piccolo spazio in cui il presunto criminale può far capolino con la sua testa e difendersi con voce forte. Becciu ci ha provato un secondo. E ha detto una parola sulla certezza che il Papa abbia agito fuorviato. Un istante e poi quell'uomo è stato sigillato da vivo nella sua cassa da morto dello scandalo. Inchiodato con continui, ostinati colpi di martello, tac tac, con precisione, giorno dopo giorno, fino alla noia, fino a stufarci e girar pagina davanti al titolo, senza neppure leggere le interviste incomprensibili a chi non sa nulla di paradisi artificiali, azioni lussemburghesi, petrolio angolano, in un caleidoscopio dove l'unica arci-evidenza è stata di trovarci davanti a un mascalzone per fortuna precipitato nell'abisso grazie all'inchiesta inoppugnabile del settimanale L'Espresso. Ah L'Espresso, subito ricalcato da Repubblica, dal Corriere della Sera, dalla Stampa con il suo Vatican Insider e dall'intero novero dei quotidiani più autorevoli del mondo, di cui qui mi rifiuto di fornire l'elenco perché lo ritengo un luogo comune del cazzo. La faccenda sin dagli esordi mi era parsa troppo semplice, addirittura lampante, magari grossolana per la tipologia e l'entità quantitativa men che milionaria delle accuse. Queste però mi erano parse costruite in un modo e con una sequenza tali da rendere impossibile qualunque possibilità di difesa, tanto più in presenza di vincoli ecclesiastici che chiudono la bocca a chi, come Becciu, ha fatto i voti, è vincolato al segreto di Stato per le posizioni ricoperte in Vaticano e non intende ferire il diretto superiore, e cioè il Papa. Dentro di me è scattata subito la sindrome del dubbio. In questi casi si è usi nominare Enzo Tortora. Altri lo fanno per sentito dire, invece la sua storia è parte drammatica della mia biografia umana ma anche professionale. Enzo fu soffocato da accuse ignobili (camorra, droga) tanto più credute e godute dai suoi colleghi e dal popolaccio per la molla dell'invidia che ama vedere gli angeli cadere nel fango. Per squartare un uomo meraviglioso e farne a pezzi la reputazione di persona integerrima bastò la parola di assassini malavitosi e di mitomani contro la sua.

Fui tra quelli, con l'avvocato Raffaele Della Valle, che scoprirono l'imbroglio. Idem Becciu, la storia è sovrapponibile. Rubare ai poveri, dalla borsa del Papa, è persino peggio degli abusi sessuali, specie in Italia. L'unanimità dei media, l'abbandono in cui è stato lasciato da (quasi) tutti. Ho chiesto alla redazione di studiare la faccenda, di reperire cose non dette. Senza essere né l'arcangelo Michele e neppure lontanamente un cherubino, provo a staccarlo dai ganci dove lo ha appeso il boia giornalistico, consegnandolo alla gogna universale. E soprattutto ingannando il Papa, senza che ne abbia colpa alcuna, tanto il complotto è stato ben congegnato e avallato da qualcuno che ha avuto accesso alla sua scrivania, riuscendo così a perfezionare un sacro e colossale imbroglio. Una pia frode che di più empio non esiste, perché ha giocato con la buona fede di Francesco, ha sporcato le tovaglie dell'altare di un uomo perbene. Ma - per fortuna - lo ha fatto con pura farina questa sì del diavolo, il quale come recita il proverbio non è bravo a fare i coperchi. E nel pentolone carico di questa broda menzognera ci finiscono gli accusatori a testa in giù. Abbiamo trovato le pistole fumanti. Esse sono state depositate, prima che su queste pagine, al Tribunale di Sassari dall'avvocato Natale Callipari con la richiesta di risarcimento di 10 milioni di euro nei riguardi dell'Espresso. Perché? Su che basi? Ci sto arrivando piano, scusate ma sono forse un po' arrugginito dovendo adattarmi all'iPad invece che far correre le dita sulla Olivetti Lettera 22, o forse è per gustare meglio la merenda. Divido in capitoli.

 

 

CAPITOLO UNO
Il cardinale Angelo Becciu si sta recando giovedì 24 settembre dal Papa a Santa Marta. Manca una decina di minuti alle 18. È un'udienza di quelle consuete, fissata tre giorni prima. Becciu, dopo essere stato sostituto alla segreteria di Stato, è dal 2018 cardine e prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, e va a esporre a Francesco a quale punto siano i processi di beatificazione e a ricevere indicazioni. Mentre è quasi sull'uscio riceve una telefonata. Un suo antico collaboratore gli riferisce che circola un articolo dell'Espresso che conterebbe accuse contro di lui. Non ha niente sulla coscienza, gli dice di tranquillizzarsi, e ripassa da eccellente uomo d'ordine quanto ha da riferire al «Superiore» senza fargli perdere tempo. L'udienza con il Santo Padre inizia alle 18.02 e si conclude alle 18.25. Al porporato è crollato il mondo addosso. Verso le ore 20, rientrato a casa, riceve un sms da un amico, dal quale apprende che il Bollettino Vaticano aveva pubblicato, alle ore 19, la notizia delle sue dimissioni da prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi con la revoca dei diritti di cardinale. Ma davvero tutto è cominciato alle 6 della sera, un'ora dopo quella classica degli avvenimenti tragici secondo Garcia Lorca?

CAPITOLO DUE
Il Papa dalle 18.02 per 23 minuti lava la testa a Becciu, con dolore ma lo fa, avendo sulla sua scrivania un articolo fotocopiato dell'Espresso non ancora in distribuzione. Qualcuno gliel'ha posto sul tavolo e ha garantito della veridicità delle accuse. Il titolo è: «La spada di Francesco sui corrotti». Come è finito questo articolo in Vaticano a quell'ora? È la copia perfetta di quello che uscirà domenica 27 (tre giorni dopo, senza alcun accenno alle dimissioni), e contiene le carte e le tesi che la sera di giovedì, poco dopo le dimissioni, Repubblica (figlia dello stesso editore Gedi) pubblica sul suo sito web. Come è arrivato quell'articolo al Papa giusto in tempo per l'udienza fissata da tre giorni? Mistero. Un sacro ladro? Maurizio Molinari, direttore di Repubblica intervenuto la mattina di venerdì a Omnibus, su La7, narra che «ieri sera c'è stata un po' di concitazione in redazione, perché sapevamo ovviamente dai colleghi dell'Espresso, della notizia che avevano (i presunti favori ai parenti sardi prelevati dall'obolo di San Pietro, ndr), e quando ci siamo accorti che le dimissioni di Becciu in realtà coincidevano col fatto che alcune delle prime copie stampate dall'Espresso in tipografia erano scomparse e quindi erano in qualche maniera arrivate a lui e lui (il Papa) a quel punto ha preso la decisione per gli elementi schiaccianti che i colleghi dell'Espresso hanno trovato, e poi c'è stata l'udienza drammatica». Accidenti. L'Espresso viene stampato nella notte tra mercoledì e giovedì a Oricola, provincia dell'Aquila. Qualcuno deve averlo rubato o fatto spostare con una bilocazione dalle parti del Vaticano. Il tempo di riunirsi tra alti papaveri. Di decidere di sottoporlo al Papa affinché si prepari al volo all'udienza fissata tre giorni prima con Becciu. E oplà! Fin qui tutto è gloria per i giornalisti. Riescono con le loro (loro?) notizie (notizie?) a causare uno sconquasso mondiale. Bravi. Inspiegabile questa traslocazione dell'Espresso come la Santa casa di Loreto portata in volo da Nazareth dagli angeli, ma i miracoli esistono, non è vero?

CAPITOLO TRE
Ecco però che accade qualcosa di strabiliante. E siamo davanti a un fenomeno stranissimo di premonizione. O forse di profezia biblica. A un gioco delle tre carte presumibilmente diabolico ma dove il trucco è così pacchiano che i magistrati vaticani, se mai volessero far bene il loro mestiere, potrebbero verificare da sé. È bastato lavorare un po' su internet, roba facile mi spiegano quelli che qui a Libero smanettano sul web, ma il demone era troppo goloso e avido di trionfo ed è inciampato nella sua forca. I magistrati civili di Sassari possono leggere e appurare quanto segue: «In data 24.09.2020, alle ore 10 e 12 minuti, veniva creato sul sito web dell'Espresso (https://espresso.repubblica.it) un articolo dal titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il Papa chiede pulizia», a firma di tale Massimiliano Coccia, successivamente pubblicata online in data 25.09.2020, sempre alle ore 10 e 12 minuti. L'esatto orario di creazione della pagina web è confermato dal codice sorgente della stessa. Poche ore più tardi, più precisamente alle ore 15 e 44 minuti, veniva creato e pubblicato online sul sito web https://espresso.repubblica.it un secondo giornale dal titolo «Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso: L'Espresso di domenica 27 settembre», a firma della giornalista Angiola Codacci Pisanelli. L'esatto orario di creazione della pagina web è confermato dal codice sorgente della stessa.

 

 

CAPITOLO QUATTRO
Se non ci si crede, basti compulsare le immagini che pubblichiamo. Si vede che L'Espresso non solo sapeva ma gli è pure scappata la frizione ed è andato a sbattere su uno scoop persino esagerato: era in grado di annunciare le dimissioni di Becciu, prima ancora che il Papa fosse informato delle accuse e le avesse ottenute dal costernato cardinale! Lo ha fatto per ben due volte, sempre usando la formula assertiva «si è dimesso»: predisponendo una pagina con 7 ore e 50 minuti di anticipo sugli avvenimenti e poi pubblicandone un'altra 2 ore e 18 minuti prima che iniziasse l'udienza concessa dal Santo Padre al cardinale per tutt' altri motivi, inerenti al suo ufficio. Riteniamo che abbiano messo quel colpo in canna ma non abbiano tirato il grilletto per non svelare i loro santini. Che abbiamo posato con rispetto sulla scrivania del Papa la pistola fumante dello strano intreccio giornalistico-clericale rispetto a cui Vatileaks 1 e 2 sono bazzecole, pinzillacchere, piume per provocare il solletico. Di certo c'è qualcuno - e se esistono spiegazioni più logiche le recepirò - che ha manovrato sopra la testa del Santo Padre in condivisione d'intenti con una cordata giornalistica abbonata alla denigrazione della Chiesa e all'indebolimento del Pontefice con l'alibi di difenderlo. Certo devono essere personaggi di rango dei palazzi apostolici. E l'ipotesi di scuola è che, mentre era in corso tra le sacre mura il lavoro degli ispettori di Moneyval, si sia voluto offrire loro su un piatto d'argento la testa di una persona di altissimo profilo per dimostrare che si fa pulizia. Per chi ne ignorasse l'esistenza, Moneyval è il comitato di esperti nel Consiglio d'Europa che valuta Stato per Stato le misure antiriciclaggio. La parola complotto mette in cattiva luce chi la pronuncia. Ne rise peraltro anche Giulio Cesare il giorno prima delle Idi di marzo: «La congiura di Bruto? Figuriamoci». Per dire che qualche volta volano coltelli partiti da mani insospettabili. Si è voluto eliminare un possibile futuro papabile o comunque un grande elettore sgradito? Mah.

CAPITOLO CINQUE
Resta un dato di fatto. Il Papa non ha finora approvato né tanto meno ha spinto per un avviso di garanzia. Che senta qualche odore di bruciato? Il cardinale è stato peraltro invitato a comparire dai due pm come «persona informata sui fatti». Ma «il superiore» (indovinate chi) gli ha ordinato di non presentarsi. Certi versamenti si riferirebbero infatti a pagamenti autorizzati dall'alto e versati su conti nella disponibilità dei rapitori in svariate parti del mondo, altro che sputtanare il cardinale Pell pagando i suoi falsi accusatori, come qualcuno ha lasciato credere: si trattava di liberare una suora colombiana, purtroppo ancora detenuta da fondamentalisti islamici. Una missione umanitaria in accordo con certi personaggi dei servizi segreti italiani. E non è forse bene ed è persino pericoloso che si sappiano certe cose. Si indagherà? C'è sfiducia al riguardo tra chi frequenta i Tribunali vaticani. I promotori di giustizia (cioè i pm) Gian Piero Milano e Alessandro Diddi non sembrano particolarmente attrezzati specie in diritto canonico, soprattutto il secondo. Il quale, contrariamente agli avvocati che devono essere laureati in questa complicata materia per esercitare vicino al Cupolone, non ha alcun titolo nella disciplina che è la colonna giurisprudenziale su cui si reggono i tribunali del suo datore di lavoro vestito di bianco.

CAPITOLO SEI
L'avvocato difensore di Becciu osserva nella sua citazione tribunalizia come editore, direttore e giornalisti dell'Espresso «abbiano portato a compimento il "disegno" o il "piano", iniziato con la pubblicazione dell'articolo del 24 settembre 2020 e poi proseguito con gli ulteriori contributi, finalizzato ad infangare, definitamente e con effetti irreversibili, l'immagine, l'onore ed il decoro» del cardinale Becciu. In pratica, costoro avevano dimissionato il cardinale prima ancora che il Santo Padre gli avesse chiesto di rassegnare le dimissioni. Ora si tratta di capire chi siano le gole profonde e gli utilizzatori finali dell'articolo dell'Espresso situati dall'altra parte delle mura. Non sono piccoli maggiordomi come Paolo Gabriele, o ragazze caricate di pesi insopportabili tipo Francesca Chaouqui, ma qualcuno con alti pennacchi. Mi rendo conto. Qualcuno può rimproverare Libero. Hai mostrato che il dito è sporco, ma dovresti guardare la luna. L'ho osservata con il telescopio. Quella costruita dall'Espresso è una montatura ridicola se non fosse tossica. Le accuse a Becciu sono smontate punto per punto nelle 74 pagine della citazione: dall'immobile di Londra ai fondi riservati consegnati a Lady Marogna «per finalità umanitarie» (leggi: liberazione di religiosi rapiti, ma non si può dire). E poi una presunta elargizione ai fratelli di Becciu che invece fu fatta alla Caritas diocesana di Ozieri; il sostegno di un amico del cardinale a un birrificio - dove inserire ragazzi autistici - per 1.200 litri di birra (milleduecento!), porte di legno commissionate al fratello di Becciu per un totale di 700 euro (settecento!). Roba da tenersi la pancia. Ma questo è ancora niente. Domani ne scopriremo delle belle. Quelle che nessuno ha finora scritto. 

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