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Giuseppe Conte sfrutta la pandemia per conquistare il M5s: il gioco sporco del premier

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Francesco Carella
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Mentre crescono le tensioni sociali per come l'esecutivo sta affrontando l'emergenza Covid e si acuiscono i contrasti fra governo e regioni, emerge con sempre maggiore chiarezza che un filo rosso lega le scelte politiche di Giuseppe Conte alla formazione culturale del M5Stelle. Talché si può dire che lo sconosciuto avvocato pugliese salito a Palazzo Chigi per fare da controfigura a Luigi Di Maio, nel giro di due anni, non solo ha rubato la scena al suo mèntore, ma è riuscito anche ad accreditarsi come il vero erede di un Movimento ormai palesemente allo sbando. Infatti, la strategia del presidente del Consiglio, scegliendo di delegittimare le assemblee elettive attraverso un continuo ricorso ai Dpcm, risulta sempre più in linea con le elaborazioni teoriche del fondatore, Gianroberto Casaleggio. Questi non ha mai nascosto la convinzione secondo cui le procedure previste dal nostro ordinamento per la selezione della classe politica fossero obsolete e rappresentassero la causa principale della diffusa corruzione. In ragione di ciò, il Parlamento - la principale istituzione della democrazia liberale - veniva presentato come un luogo in cui ad esercitare il potere ci fosse solo una «casta di parassiti e profittatori».

RIFORMA A METÀ
Di qui l'uso strumentale della recente riforma per il taglio dei parlamentari alla quale non sono seguite altre ed opportune modifiche, per garantire un più corretto equilibrio costituzionale. Anzi, la maggioranza di governo pensa addirittura di rivedere in senso centralistico il già debole decentramento amministrativo. Per maggiore chiarezza, vale la pena di accennare a ciò che si cercò di fare nei precedenti, nonché sfortunati, tentativi di riformare alcune parti della nostra Carta. Infatti, a partire dalla commissione Bicamerale presieduta dal liberale Aldo Bozzi - siamo nei primi anni '80 - a quella guidata da Massimo D'Alema, fino a giungere alle due riforme costituzionali volute dal centrodestra nel 2005 e da Matteo Renzi nel 2014, l'ipotesi di ridurre sia i deputati che i senatori era sì prevista, ma essa veniva collocata in un processo riformatore di più ampio respiro che prevedeva il superamento del doppio voto di fiducia per i governi, compiti differenziati per Camera e Senato e l'introduzione di una diversa articolazione dei poteri fra Stato centrale e periferia. Di questi argomenti oggi non vi è più traccia. Il motivo è che la riduzione dei parlamentari, voluta dal M5Stelle e strumentalmente cavalcata dal presidente del Consiglio, rappresenta solo un primo passo verso ciò che Gianroberto Casaleggio indica come obiettivo politico finale, ossia la delegittimazione del Parlamento a vantaggio di altre "forme rappresentative" da realizzare via web. In tal senso, non si sbaglia se si afferma che il capo del Governo, snobbando le Assemblee elettive, dimostra di essere il vero esecutore di quel progetto teso ad esautorare subdolamente ruolo e funzioni della rappresentanza popolare. Il tutto avviene approfittando, con cinico opportunismo, della nuova ondata pandemica e della crisi catatonica dei pentastellati rivelatisi inadeguati per la realizzazione dei loro stessi obiettivi. Mentre sullo sfondo si fa sempre più assordante il silenzio di coloro che non perdono occasione, capitanati dal Pd, per presentarsi come gli unici difensori della democrazia nel nostro Paese. 

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