Pietro Senaldi, attacco agli ipocriti dell'informazione e il Pd: "Kamala Harris è mulatta, ma Libero non lo può dire"
La nuova vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, è mulatta; anzi, meticcia per la correttezza, avendo il genitore 1 nero e il genitore 2 asiatico. Noi di Libero però non possiamo dirlo e per questo per tutta la giornata di ieri siamo stati bersaglio di una storm shit, letteralmente una tempesta di merda, che ci ha scatenato contro il mondo progressista, subito ripreso dal Pd, che da anni si accoda al pensiero di sinistra, anziché guidarlo o almeno ispirarlo. La nostra colpa è, tanto per cambiare, un titolo: «La vice mulatta ha già rubato la scena a Biden»; intendevamo dire che Kamala è stata celebrata dalla stampa nostrana come se lei fosse il presidente vincitore e sleepy Joe il suo attempato maggiordomo. Il termine «mulatta» non era gratuito. Stava a significare che il particolare entusiasmo di molti media italiani verso la signora è dovuto al fatto che lei è di colore, oltre che di estrema sinistra.
Niente da fare, ci accusano di essere propalatori di razzismo, sessisti e naturalmente fascisti. Un fesso ha pure scritto che saremmo nostalgici del colonialismo; e nel farlo si è pure dato delle arie, con un verboso tono cattedratico. Viceversa noi non abbiamo lezioni da dare a nessuno. Vogliamo solo precisare che quelli che si stracciano le vesti per il nostro titolo sono gli stessi che da settimane fanno della pelle della Harris la sua maggiore qualità politica. Famiglia Cristiana, la Stampa, Repubblica, l'hanno più volte definita «nera» o di «colore», elevandola a incarnazione dell'integrazione negli States, come documenta in questa pagina il nostro Giovanni Sallusti. D'altronde, dalla Reuters, alla Abc, al Washington Post, i giornali americani, tempio del politicamente corretto, quando parlano della vicepresidente la definiscono «mixed race», di razza mista. Non siamo paranoici, ma non possiamo non dedurne che solo a noi di Libero è fatto divieto dire che il bianco è bianco e il nero è nero. Quando la stampa progressista ha celebrato Obama come il primo presidente nero degli Usa o Balotelli come il primo centravanti di colore dell'Italia, nessuno è stato accusato di fomentare il razzismo.
Sempre senza la pretesa di voler dare lezioni, desideriamo ricordare ai colleghi che l'elemento razziale gioca un ruolo importante nelle presidenziali americane. E questo non lo diciamo noi, ma i dotti analisti che dai giornali progressisti ci parlano da mesi di voto nero, voto ispanico, voto asiatico, e finanche di voto bianco, seppure in questo caso con malcelato disprezzo, dando per scontato che per la maggioranza esso si indirizzasse verso Trump. Biden ha scelto Kamala come vice anche perché è mulatta e di sinistra, come Obama assunse Biden perché era bianco e poco di sinistra. Fa parte della strategia di allargare al massimo il bacino elettorale. Se qualcuno prende le proprie decisioni in base al colore della pelle, a essere razzisti sono l'ex e il futuro presidente, nero e bianco, non noi.
Concludo dicendo che non stimiamo particolarmente i colleghi che ci hanno criticato, ma neppure li riteniamo così improbabili come sembrano. Sappiamo che il nostro titolo non li ha scandalizzati granché e che poco gli importa di che colore sia la Harris. Cercano solo di autopromuoversi e far carriera seguendo il vento del conformismo. Se avessero davvero a cuore la sorte dei neri e dei diseredati, lascerebbero le loro scrivanie e tribune virtuali per andare in Africa a dare una mano a chi ne ha bisogno, anziché aiutare le masse con il loro sfoggio di buonismo da salotto. Il Pd, che malgrado la pandemia non ha nulla di meglio a cui pensare, ci ha dedicato un post su twitter, scrivendo «Il suo nome è Kamala, cara redazione di Libero. Fatevene una ragione». Non lo abbiamo mai negato, ma nessuno ti vota per il nome, bensì per chi sei e cosa rappresenti, e questo i dem, che hanno cambiato quattro o cinque volte sigla, perdendo sempre consensi, dovrebbero iniziare a impararlo.