Giuseppe Conte, imbarazzante la lettera del premier a Repubblica: si lamenta per non aver fatto le ferie
Tra altre cose un po' improbabili, il curriculum di Giuseppe Conte illustra una carriera da libero professionista: ma la lettera che ieri ha scritto a La Repubblica denuncia la mentalità di uno statale che difende la mesata quando il capufficio gli contesta qualche assenza di troppo. Infastidito da quelli che incomprensibilmente si domandano che cosa abbia combinato l'esecutivo da quattro mesi a questa parte in vista dell'inaspettatissima seconda ondata, il presidente del Consiglio rivendica le diuturne fatiche governative e rinfaccia a tutti l'inflessibilità del suo impegno mentre venti milioni di italiani erano istigati ad ammassarsi a suon di bonus sulle spiagge: «Anche nel periodo più caldo agostano», spiega, «ho preferito non allontanarmi da Palazzo Chigi, rimanendo a mezz' ora dal mio ufficio e continuando a fare riunioni pressoché quotidiane da remoto». Capito? Faceva caldo, e tuttavia quello «preferiva» restare lì, altro che usufruire del meritato distacco; e quando proprio il soffoco non lasciava tregua rimaneva nei pressi, tipo Dpcm, e se c'erano riunioni non marcava visita ma era disponibile quasi tutti i giorni («pressoché»).
L'idea che non si tratti di fare il conto delle ore e dei permessi per compilare la busta paga, e che il presidente del Consiglio non risponde agli addebiti di inefficienza con una giustifica da delegato sindacale, evidentemente nemmeno sfiora le inconsapevolezze di questo incerto gestore della faccenda pubblica. Te li vedi Macron o la Merkel che si difendono su un giornale spiegando che hanno preferito lavorare anche se faceva caldo? E invece questo qui, con perfetta serietà, viene a dirti che il governo «ha le maniche della camicia sempre ben arrotolate», mentre il suo capo veglia sulla salute degli italiani anche quando avrebbe il sacrosanto diritto di godersi un po' di fresco. Al responsabile degli indirizzi politici politici nazionali sarebbe forse richiesto qualcosa di più e di meglio che il timbro del cartellino, e il vanto della rinuncia al ferragosto va bene per l'impiegato che ti chiede l'aumento, non per rispondere ai dubbi (chiamiamoli dubbi) sull'efficacia di un'azione di governo a dir poco discutibile. Con questo, a peggiorare le cose: che quella retorica sui cimenti estivi di sua eccellenza Giuseppe Conte spira di conserva con quella incriminatoria verso i cittadini da cui dipende l'insuccesso delle politiche governative. Lui impavido nell'assedio dell'afa, e noi irresponsabili che non gliene rendiamo merito mentre organizziamo party negazionisti.