Dpcm, il capogabinetto svela tutto a Senaldi: "Non riaprono più, ora d'aria a Natale. Seconda ondata? A luglio sapevano ma..."
A maggio, alla fine della prima grande chiusura, ci aveva confessato che le leggi sui ristori del governo erano scritte volutamente con i piedi per scoraggiare i cittadini dal chiedere gli indennizzi. Le casse erano vuote e bisognava risparmiare più soldi possibile. Oggi, il capo di gabinetto misterioso, l'autore del saggio Io sono il potere, scritto con il giornalista della Stampa, Giuseppe Salvaggiulo, l'uomo che da decenni è nelle stanze che contano ed appartiene a quel pugno di teste che decide le sorti del Paese, mettendosi formalmente al servizio del governo di turno ma in realtà tirando dalle quinte le fila dello spettacolo, torna a parlare confidenzialmente a Libero. Lo scopo è rivelare le logiche dell'ultimo decreto presidenziale e come l'esecutivo intende affrontare la seconda ondata del virus, prevedibile, anzi annunciata, e tuttavia imprevista.
Lavora alla nuova edizione del suo libro «Io sono il potere»?
«Io lavoro sempre. A tante cose. Ogni sera annoto aneddoti, incontri, cose viste e sentite. Pensavo che il nostro mondo fosse autoreferenziale. A farmi cambiare idea è stato il successo di «Io sono il potere» e soprattutto il giudizio di un alto e temuto magistrato, insospettabile di compiacenza. Il quale ha rivelato ai suoi colleghi: "Questo libro mi ha fatto capire del potere romano più di dieci anni di indagini"».
Di che cosa vorrebbe scrivere?
«Mi piacerebbe raccontare la gestione del Covid nei palazzi. Una gestione che ha portato al collasso tanti modelli, tanti schemi e persino tanti di noi, compresi alcuni gabinettisti di lungo corso. Forse era dai tempi del generale Badoglio che non si viveva un periodo così incerto per l'esercizio del potere».
Che differenze ravvisa nella gestione della prima e della seconda ondata della pandemia da parte del governo?
«La prima ondata ha colto tutti di sorpresa e Conte ha indovinato il lockdown anticipato, che ha dato un grande vantaggio all'Italia rispetto agli alti Paesi europei. La seconda ondata ci ha colti ugualmente di sorpresa. Ma è più grave, non solo per le tante avvisaglie estive. "È stata tutta una terribile ripetizione", per dirla con Garcia Lorca».
Cosa è successo?
«Nei ministeri tanti hanno abbassato la guardia, pensando che fosse finita. Io invece ero certo che ci sarebbe stata una seconda ondata, che nelle epidemie è tradizionalmente peggiore. Sarebbe stato necessario usare luglio e agosto per prepararsi al peggio, non per andare al mare. Lo avevo detto. Anzi scritto. Perché di certe cose è meglio lasciare tracce scritte, per evitare successive responsabilità».
Qual è stato il grande errore?
«Ai primi di agosto era tutto chiaro. Il sistema di tracciamento stava già saltando, un terzo dei focolai sfuggiva. Bastava leggere i report scientifici e sanitari. Quelli veri che circolano al ministero, non quelli per le conferenze stampa. Ma le Regioni non si sono fatte problemi a consentire l'apertura delle discoteche. E il governo, che poche settimane prima aveva bloccato un'innocua ordinanza della Calabria sui tavolini dei bar all'aperto, si è ben guardato dall'impugnare le ordinanze sulle discoteche, che il Tar del Lazio avrebbe sospeso nel giro di poche ore. Salvo intervenire sui contagi di ritorno da Spagna e Grecia poco prima di Ferragosto, e sulle discoteche subito dopo. Quando il danno era fatto».
Quanto e in che modo ha pesato l'ideologia nella gestione della pandemia?
«Poco, se non niente. La pandemia viene gestita con i soliti schemi della lotta politica. Governatori contro governo. Sindaci contro governatori. Pezzi di maggioranza contro la maggioranza. Pezzi di opposizione contro l'opposizione. E naturalmente, ma più per obbligo di copione che per convinzione, opposizione contro maggioranza. Ognuno fa la sua partita per la sopravvivenza. Per molti il virus è un elisir di lunga vita politica. Speriamo che per gli altri non sia una disfatta».
Chi ha davvero deciso il contenuto dell'ultimo Dpcm?
«I Dpcm si scrivono sempre a Palazzo Chigi, sotto dettatura di Conte. Questo spiega come mai, tra l'ultima bozza e quella definitiva, sia scomparsa la chiusura dei parrucchieri. Cosa che a noi non è sfuggita, al pari del nuovo colore dei capelli del presidente del Consiglio. Una distrazione intollerabile, in un momento di crisi, e mi scuso per la malizia».
Come si spiega la tensione con le Regioni?
«Conte sa di essere debole in questa fase. E cerca sponde. Istituzionali, prima ancora che politiche (ha imparato a non fidarsi). Di qui la guerra con le Regioni. Che nelle riunioni al ministero implorano chiusure draconiane. Ma poi fanno fuoco e fiamme per contestare le chiusure. Una guerra in cui Conte paga un vizio genetico. I presidenti delle Regioni hanno due punti di forza - sono eletti direttamente e inamovibili - di cui egli è sprovvisto. Come in una squadra di calcio in crisi, alla fine paga sempre l'allenatore, anche se i gol li sbagliano i calciatori».
Vogliono approfittare del Covid per ammazzare il regionalismo?
«Giammai, non vada dietro agli spot. Della crisi delle Regioni sentiamo parlare dagli anni '70, quando erano appena nate. Ma nessuno vuole davvero rinunciare ai centri di potere».
L'offerta di collaborazione del premier all'opposizione era sincera o nascondeva il tentativo di coinvolgere Salvini, Meloni e Berlusconi in un fallimento?
«Né sincera né infida. Necessaria e obbligata, su sollecitazione ormai quotidiana del capo dello Stato. Ma tardiva, quindi destinata al fallimento (cosa che non duole al presidente del Consiglio). E dire che da maggio politici di lungo corso, in grado di farsi ascoltare anche da M5S, avevano suggerito di istituire una commissione parlamentare bicamerale, per co-gestire l'emergenza e spalmare il rischio di una seconda ondata. Ma furono ignorati, nell'illusione dell'autosufficienza».
A cosa imputa il calo di consensi del premier e del governo?
«All'incertezza, che ha sfibrato e irritato i cittadini. Alla stanchezza. Alla preoccupazione. Alla solitudine. All'aver coltivato eccessivamente il proprio ego, in modi che ora appaiono inappropriati e con manifestazioni evanescenti, se non pittoresche, come gli Stati Generali a villa Pamphilj».
Perché Conte appare così indeciso a questo giro?
«Ha capito che chi di emergenza ferisce, di emergenza può perire. E allora scatta la sindrome Monti».
È vero che Mattarella è deluso da Conte, cosa lo ha irritato?
«Il presidente della Repubblica è l'unico di cui Conte può fidarsi, per ragioni sia personali che istituzionali. Ogni illazione è destituita di fondamento. Il presidente, diversamente da illustri predecessori, si attiene strettamente al perimetro costituzionale ed è refrattario al protagonismo, al punto da essere infastidito quando si paventa una sua rielezione. Figurarsi se dà adito a suggestioni e bizzarrie politicistiche. Tanto più in una fase in cui ha diradato i suoi incontri al Quirinale e si attiene a un severo protocollo sanitario di isolamento che lo costringe a colloqui citofonici anche con i più stretti collaboratori».
Pensa che Conte finirà incriminato con Salvini per sequestro di persona?
«Improbabile, se non impossibile. Tutto il mondo politico, e buona parte della magistratura, è già contraria ai processi a Salvini».
Il governo ha dormito sui finti allori quest'estate?
«Sia da parte del governo (e delle sue articolazioni emergenziali), sia da parte delle Regioni ci sono stati gravi errori di programmazione. Lo abbiamo notato, e fatto notare, in estate, quando abbiamo visto i piani, si fa per dire, per ristrutturare gli ospedali e aumentare posti letto, tamponi e tracciamenti. Ci hanno presi per Cassandre. O per Talleyrand, a cui si è paragonato non senza narcisismo Walter Ricciardi dicendo: "Io avevo ragione; sono loro, come si evince dalle loro scelte, che avevano torto"».
Com'è possibile che sia andato immediatamente in tilt il sistema di tracciamento dei contagi?
«Perché è stato creato un sistema insufficiente, geneticamente fallato. Prenda la App immuni, che non è male, ma è stata bocciata prima ancora di essere entrata in funzione. Un caso di infanticidio informatico. Il governo l'ha ammazzata in culla, dopo averla partorita (ma parte del governo non la voleva)».
Perché è fallita la commissione Colao?
«Colao? Chi era costui?»
Tira aria di governo tecnico? Chi spinge in questa direzione?
«Alcuni. Ma è un momento da giocatori di scacchi e non da bersaglieri. Nessuno vuol restare con il cerino in mano. Ne riparliamo a Natale».
Perché non vengono desecretati i documenti del Cts?
«Tutta la gestione emergenziale è fondata sul segreto. Segreti i piani del Next Generation Ue. Segreti i nomi delle aziende che vincono la gara sui banchi scolastici. Segreti i report con i dati sanitari. Segrete le riunioni delle task force. Segreti i protocolli dei fondi Sure».
Ed è il Cts a governare il governo o viceversa?
«Dipende dai momenti. La realtà è in chiaroscuro. Talvolta il governo si appoggia al Cts, talvolta lo fa un ministro a spese di un altro. Talvolta le parole del Cts sono pietre, talvolta evaporano nel tragitto verso Palazzo Chigi. Il Cts, peraltro, non è un monolite. È un consesso di accademici e primedonne della sanità romana, con un certo numero di grand commis ministeriali. Certi giorni potrebbe essere una serie tv di Netflix, certi altri un remake di Brancaleone alle Crociate».
I ristori economici non si sono riusciti, non si sono voluti o non si sono potuti dare?
«Un po' voluti e un po' potuti. Ma ora la situazione è cambiata, rischia di diventare un problema di ordine pubblico».
Arcuri ha più potere di voi capi di gabinetto in questa fase o è rimasto anche lui incagliato nelle dinamiche del potere?
«Arcuri è oggetto di invidie, risentimenti, gelosie. Non solo per il metodo da accentratore e per il carattere incline alla permalosità. Raramente dice no, ma raramente fa quello che l'interlocutore si aspetta che faccia».
Se i bandi per le terapie intensive sono partiti a ottobre, di chi è la colpa?
«Di tutti e di nessuno. Come per la caduta dell'impero romano».
Il lockdown non è stato fatto perché lo Stato non ha i soldi per rimborsare le attività chiuse?
«No, non è un problema di soldi perché ormai si fa tutto a debito. Piuttosto per una valutazione sulla tenuta psicosociale degli italiani».
Esiste una data X prima della quale il governo ha già deciso che non riaprirà? E se sì, qual è?
«Il piano è riaprire tutto all'Immacolata, garantire lo shopping, le sciate, qualche mare esotico, i cenoni e le feste di Natale con severe prescrizioni, ben sapendo che non saranno rispettate. Così nella seconda metà di gennaio il governo potrà richiudere».
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