Giuseppe Conte snobbava il Parlamento, ora lo irride: metamorfosi da Dpcm
Qualcuno potrebbe pensare che dopotutto non cambia molto, perché l'importante è quel che fa il governo, non "come" lo fa. E invece cambia moltissimo, perché il governo opera con strumenti impropri esattamente per fare ciò che altrimenti, rispettando la legge, non potrebbe essere fatto. Ecco perché ancora una volta hanno deciso di intervenire nella gestione dell'epidemia senza usare lo strumento dovuto, e cioè il decreto-legge: questa cosa che al governo e al suo capo non piace perché è sottoposta a qualche forma di controllo parlamentare. Ed ecco perché anche nell'adozione dell'ennesimo Dpcm, che di suo urta già abbastanza il nostro ordine costituzionale, Giuseppe Conte ha perseverato nel suo comportamento elusivo e anzi l'ha perfezionato.
Con quest'ultimo provvedimento, infatti, si è passati dall'aperta e sfrontata violazione di legge alla finta di rispettarla: che se possibile è anche peggio. Perché questa volta il presidente del Consiglio è andato sì in Parlamento prima anziché a cose fatte, ma ci è andato per articolare una delle sue consuete orazioni autocelebrative, non per illustrare compiutamente il contenuto delle misure da adottare. La legge dice che le stringenti prescrizioni che il governo è venuto imponendo al Paese da mesi a questa parte non sono più ammissibili senza che il presidente del Consiglio ne sottoponga previamente il contenuto all'attenzione del Parlamento: né ovviamente senza che egli tenga conto dei rilievi che le Camere eventualmente muovano in proposito, salvo credere che la norma implichi il potere del capo del governo di limitarsi a informare il Parlamento per poi fregarsene di quel che esso obietta e replica.
Bene, l'altro giorno Giuseppe Conte ha fatto un'illustrazione del tutto generica e parzialissima delle misure poi precipitate nel decreto pubblicato la mattina del 4 novembre. Sui temi urgentissimi della selezione delle zone a rischio; sui criteri per individuarle e disciplinarne la vita; sui dati che avrebbero reso inevitabili quelle scelte di discriminazione territoriale; sulla possibilità di chiudere al pubblico intere aree urbane esposte al rischio di assembramento (una specie di coprifuoco nel coprifuoco rimesso al capriccio non si sa di chi); sul subappalto dei pieni poteri al ministro della Salute trasformato in un caudillo che fa il bello e il cattivo tempo senza risponderne a nessuno; su tutto questo e molto altro il presidente del Consiglio ha anticipato poco o nulla, e la nuova somma di divieti e prescrizioni è fiorita nell'ultimo decreto personale del capo del governo senza che le Camere fossero messe in condizione di valutarne l'effettiva portata.
E questo, ancora una volta, è avvenuto a suggello della recita preventiva di preannunci, conferenze stampa e bozze circolanti che si sostituiva al dovuto confronto istituzionale. Il tutto - ciliegina sulla torta - con l'incredibile dichiarazione del presidente del Consiglio che comunicava la propria "disponibilità" ad accogliere i rilievi parlamentari, come se si trattasse di una graziosa concessione piuttosto che di un preciso dovere di legge. A dimostrazione che può esserci qualcosa di peggio che esautorare il Parlamento: ed è irriderne la funzione facendo le mostre di onorarla. Il danno che sta facendo al Paese questa vergognosa classe dirigente è incalcolabile: e quando pure - speriamo presto - troveremo un rimedio al virus, il rimarginarsi dell'infezione lascerà scoperta una fibra civile irrimediabilmente scorticata, e svelerà il volto sfigurato della nostra democrazia.
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