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Terrorismo, Annie Laurent spiega "perché è il Corano a ispirare gli attacchi islamici"

Gianluca Veneziani
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Di fronte agli attentati di Nizza e Vienna si potrebbe assumere un triplice atteggiamento errato: omettere il movente religioso delle stragi, come hanno fatto da noi alti esponenti politici; considerare i terroristi dei folli, invasati, malati di mente; oppure sottolineare il carattere «islamista» delle azioni di terrore, giudicando cioè l'islamismo una falsificazione del vero islam e riducendo gli attentatori a una specie di compagni che sbagliano. Sarebbe invece più onesto intellettualmente, e più utile per affrontare meglio la minaccia, riconoscere la matrice islamica di quelle gesta omicide, identificando il Corano - nella sua interpretazione letterale - come fonte stessa della violenza. Per farlo, consigliamo di sfogliare l'interessantissimo saggio L'Islam. Ne parliamo ma lo conosciamo davvero? (Cantagalli, pp. 264, euro 22) della francese Annie Laurent, una delle massime studiose di islam, nonché discepola di Papa Benedetto XVI che nel 2010 la nominò esperta del Sinodo speciale dei vescovi per il Medio Oriente. Per cominciare, la Laurent mostra come non vi sia nessuna differenza sostanziale tra islam e islamismo, ossia tra una presunta religione autentica e pacifica e una sua perversione ideologica e violenta. In realtà l'islam stesso, fin dagli inizi, si presenta come un'«ideologia religiosa» «portatrice di un progetto sociale e politico, che legittima il ricorso alla guerra». 

Attingendo direttamente al Corano, l'autrice rileva quanto il legame tra violenza e sacro, o tra Libro e Spada, nell'islam non sia scindibile: il jihad qua non viene mai inteso a mo' di una lotta interiore e spirituale ma nel «suo solo senso guerresco». Cioè come un combattimento funzionale a esportare ovunque la religione di Allah. Non è un caso che nel Corano i verbi «uccidere» e «combattere» si trovino rispettivamente 62 e 51 volte. Spesso, peraltro, nella forma di un'esplicita esortazione divina alla conversione violenta degli infedeli. Alcuni versetti risultano, a riguardo, illuminanti: «Uccidete gli idolatri (anche i cristiani, che credono nella Trinità, nda) dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate» (9,5, il cosiddetto «versetto della spada»); «Combattete coloro che non credono in Dio e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura (ebrei e cristiani, nda), che non s' attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati» (9, 29)». E ancora: «La ricompensa di coloro che combattono Iddio e il Suo Messaggero è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra» (5, 33)». Da questo punto di vista, anche le azioni terroristiche possono essere ricondotte a un'influenza diretta del testo sacro: «È evidente», avverte la Laurent, «che i terroristi si riferiscono anche al Corano per giustificare il rifiuto dell'altro e il ricorso alla violenza». 

 

 

 

 

 

 

Tuttavia, si potrebbe obiettare, nel Corano esistono vari passaggi che predicano piuttosto la misericordia, la tolleranza, il divieto di uccidere e la libertà di coscienza e di religione. Si pensi a «chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un'altra è come se avesse ucciso l'umanità intera» (5, 32), a «Non vi sia costrizione nella Fede!» (2, 256) o a «Potresti tu costringere gli uomini ad esser credenti a loro dispetto? No, nessun'anima può credere se non col permesso di Dio» (10, 99-100)». Come si spiega questa contraddizione? Con il principio della cosiddetta «abrogazione» fissato da Allah nel Corano e poi fatto proprio da studiosi e giuristi musulmani. In base a questo criterio i passi più antichi del Corano devono essere considerati abrogati da quelli più recenti. I primi risalgono al periodo di Maometto alla Mecca (dall'anno 610 al 622), quando il Profeta era debole e rifiutato dai connazionali: in quest' epoca le sure coraniche risultano spirituali e concilianti. I secondi fanno capo invece al periodo di Maometto a Medina (dal 622 al 632), quando l'islam comincia a essere trionfante e a imporsi con le armi nella penisola arabica: i versetti coranici, in questa fase, appaiono aggressivi e bellicosi verso i non musulmani. Tale principio è stato ricordato di recente anche da un altro studioso francese di islam, il prof emerito alla Pantheon-Sorbona Rémi Brague, in un'intervista a Famille chrétienne, ripresa da Il Foglio: «Se due versetti contengono dei comandamenti che sono in contraddizione tra di loro, il più recente mette tra parentesi il precedente»; anzi, «abroga i precedenti, in particolare quelli che parlano di pace e di tolleranza». Tenendo fede a questo principio, i terroristi islamici possono sentirsi in diritto di abrogare i versetti più concilianti e di provare ad abrogare la nostra civiltà europea. La quale, forse più che dal virus del Corona, dovrebbe guardarsi dalla violenza del Corano.

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