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Pietro Senaldi e la "mandrakata" di Giuseppe Conte: "Esperto in furbate, lascia ai governatori le scelte più difficili"

PIetro Senaldi
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Nel giorno della morte dell'immenso Gigi Proietti, anche Giuseppe Conte, l'avvocato pugliese che da oltre due anni recita la parte del premier, tenta la sua «mandrakata». Parla un'ora per illustrare l'ultimo Decreto della Presidenza del Consiglio; quello che non c'è ancora. Arriverà prima di mercoledì, annuncia con espressione da leguleio il capo del governo, che parla lunedì sera ma non se la sente di pronunciare la parola «domani», a riprova di quanto le idee siano confuse e l'esecutivo traballante. Il discorso è un'arringa. Non siamo stati sorpresi dalla seconda ondata, gli altri Paesi non stanno messi meglio di noi, ora sappiamo come affrontare il virus, che comunque è meno letale, il sistema sanitario al momento regge e vi stiamo per inondare di tamponi e aiuti per chi deve chiudere. Insomma, io ho fatto tutto bene, e le cose potrebbero andare molto peggio. Purtroppo però la Terra è una valle di lacrime e perciò, anche se lui è un fenomeno, (san) Giuseppe ci annuncia che ci toccherà soffrire. In capo a qualche ora, probabilmente, sapremo anche come. Benché si reputi un Messia moderno, l'avvocato non ha nessuna intenzione di caricarsi sulle spalle i nostri peccati e farsi crocifiggere. Ha provato a scaricare sulle Regioni la responsabilità delle scelte più odiose di limitazione della libertà, ma queste, bravissime a rivendicare autonomia a parole, quando viene data loro libertà tirano indietro il braccino, perché i governatori locali badano al consenso quanto i politici romani.

E allora Conte, che tra le qualità personali ha quella di non essere tipo da perdersi d'animo, ha tirato fuori dal polsino gemellato un jolly. L'Italia sarà divisa in tre aree sanitarie, distribuite a macchia di leopardo lungo la Penisola, a seconda della pericolosità del virus. Più il contagio è fuori controllo, maggiori saranno le restrizioni, ma l'avvocato precisa che non sarà certo lui a decidere chi deve restare rinchiuso del tutto e chi solo un po'. D'altronde nel contratto da figurante premier è implicito che al nobiluomo foggiano toccano solo i copioni da super eroe, mica quelli da menagramo. Quella parte Conte la affida al ministro Speranza, che del portatore di lutti ha il phisique du role. Sarà lui a decidere, in (dis)accordo con le Regioni, i divieti, mentre a stabilire a chi tocca restare in gabbia ci penserà una sorta di algoritmo, un cocktail di ventuno elementi, tra indice di trasmissibilità del contagio, posti liberi in terapia intensiva e altri parametri sociali e medici. In definitiva, lo spettacolo offerto alle Camere dall'avvocato attore che presta il volto alla presidenza del Consiglio non è stato dei migliori. Il premier dell'azienda sanitaria Italia ha sciorinato dati come un revisore dei conti e ha tirato indietro le mani come un consulente interrogato su temi non suoi; ha scaricato ogni scelta e responsabilità sui suoi manager, ovverosia i ministri, sui collaboratori e perfino sui clienti, che poi sarebbero gli italiani, i quali però non l'hanno mai scelto allo scaffale ma se lo ritrovano ogni due per tre in salotto se per sventura accendono la tv. Il discorso del premier alle Camere manca completamente di qualsiasi visione strategica e politica. L'unica soluzione è chiudere una mandata alla volta, sperando di riuscire a fare almeno una volta un giro contrario, ma chissà come. Pure l'appello all'opposizione, tardivo e recriminatorio, è sembrato una battuta dovuta ma secondaria. Quanto alle misure, in eterna via di definizione, sappiamo che andremo a casa ancora prima e a scuola ancora meno. Negozi e ristoranti dovranno piangere di più in parecchie zone d'Italia, mentre gli anziani saranno risparmiati, almeno nella forma. Sono quelli che in questa seconda ondata si contagiano meno, anche se naturalmente quando si ammalano stanno peggio. L'idea di limitarne la libertà d'uscita, malissimo esposta dal governatore Toti, era una sciocchezza. Però nel discorso del presidente ligure c'era una parte buona, quando si diceva che andrebbero tutelati e protetti con trattamenti ad hoc. Il che significa assistenza in casa, spesa a domicilio, mezzi pubblici e magari fasce orario d'accesso ai supermercati riservati. Ma proteggerli davvero implica impegno, competenza e lavoro. La fesseria di Toti cade a fagiolo per alzare un polverone, creare il caso politico ed ergersi a difesa della libertà degli anziani per poi continuare a non fare nulla in concreto per loro. Tant' è che il giovanile Conte non li ha quasi nominati.

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