Giuseppe Conte, Farina sul Dpcm: attesa frustrante, appesi alle volontà di un governo screditato
Vigilia. Ma che brutta vigila. Da un momento all'altro - o magari no, chissà chi lo sa - Conte apparirà in televisione e pescherà dalla sua melassa retorica le due o tre cose decisive: città chiuse oppure no, quali sì e quali no. Scuole bloccate dove e come, oppure aperte qui e là. Chiese, bar, ristoranti serrati o tenuti aperti come le tabaccherie. E i cimiteri? Emmanuel Macron ha tracciato la strada: in Francia ha vietato quasi tutto, ma ha annunciato che i camposanti resteranno aperti per portare fiori. Almeno i francesi sanno già.
Anche i tedeschi. Pure gli spagnoli e gli americani. C'è chi protesta in piazza. Ma la strategia è chiara, ed annunciata puntualmente. Noi no, ci rodiamo, ciondoliamo ansiosi. E non per paura del virus, ma per timore di qualche oscena e irrazionale fregatura inventata dal governo con colpi di qua ai fautori del piano piano, prudenti prudenti, ma senza ghigliottine; e di là, fermare tutto, imparare dai cinesi, lanciafiamme. Non è il problema tanto di aspettare. Il problema è che stiamo aspettando la parola di uno di cui non ci fidiamo. Non è questione di pretendere che Conte sappia decidere il meglio (questo peraltro non lo conosce nessuno nell'universo) ma almeno manifesti intelligenza e affetti da statista. Impossibile, con la massima buona volontà, aspettarselo. Gli italiani dopo la sbornia emotiva dei primi mesi, e la fiducia consegnata per spirito nazionale, non gli presterebbero neanche la bicicletta per fare un giretto. Non è che la ruberebbe, ma la riporterebbe sfasciata: come l'Italia. La quale è formidabile, ieri in prima pagina abbiamo evidenziato come il Pil in questi mesi sia cresciuto nonostante i non-aiuti del governo all'industria. Ma l'Italia si sente abbandonata dai suoi capi, Nando Pagnoncelli sul Corriere di ieri ha segnalato un ulteriore crollo della popolarità del premier: meno 7 per cento. Un tonfo, dopo che noi nei giorni scorsi avevamo già denunciato il "bluff" dell'avvocato Giuseppe. Purtroppo tutto questo ci toglie quel bene preziosissimo che è la fiducia, il sentirsi una cosa sola tra popolo e governo, che nei momenti gravi - fatto salvo il dovere della libertà di critica - fa essere la nazione un solo corpo. Peccato che in questi nove mesi di pandemia conclamata il premier e la sua ciurma siano stati capaci soltanto di creare divisione per restare in sella. Scegliendo di dare ordini ai cittadini, e dimenticando mentre li controllavano di creare una rete di servizi e di difese idonee a proteggerci dal ritorno del virus.
D'estate hanno cantato come cicale suonando il mandolino. In ritardo hanno bloccato gli assembramenti delle movidas e gli strusciamenti delle discoteche. Hanno colpevolizzato i vacanzieri, ma il problema è che in svaccanza ci sono andati loro: rinunciando a mettere mano al sistema sanitario di base, trascurando la carenza di medici e infermieri, mettendo in croce le regioni, specie quelle che avevano costruito ospedali come riserva strategica per le ondate successive. Il famoso sistema delle tre t (Testare più persone possibile con i tamponi, Tracciare i contatti dei casi positivi per testarli e isolarli dalla comunità e, infine, Trattare i malati con l'assistenza ospedaliera o domiciliare coordinata) dopo il lockdown lo hanno riposto nel comò con la naftalina come si fa coi paltò. In queste ore si aspetta. Non si attende come gli altri anni la gioia o la noia della festa di Ognissanti. La quale poi è popolarmente il memoriale dei nostri morti, con i fiori e le castagne arrosto in famiglia, la nostalgia dei genitori perduti, in una mescolanza di rimpianto e consolazione. La domanda non è neppure quella su quel che il virus combinerà da qui a Natale e oltre. Se ci rovinerà la salute o, se dovessimo sfangarla, la possibilità di campare decentemente. Si vive un altro tipo di attesa: non quel che ci riserva il Corona, ma: «Che cosa decideranno quelli lì?».
COSA FANNO QUELLI LÌ?
Quelli lì: cioè il governo, con in testa Giuseppe Conte, e alle spalle un comitato di scienziati e di tecnici che è un groviglio di gente rissosa. La sfiducia palpabile percepita intorno, sorbendo il caffè (l'ultimo caffè del condannato), non è un'opinione politica ma un dato esistenziale: non crediamo affatto che questa catena di comando attinga le proprie ricette dalla realtà, ma che le decisioni saranno, qualunque esse siano, viziate da interessi che nulla c'entrano con l'amore del buon padre di famiglia per i propri cari. Questi qua non vogliono bene a noi, ma alla loro permanenza al potere, e pure gli scienziati guardano con occhi concentrati sulla carriera e sul prestigio dei loro proprietari invece che dediti all'osservazione disincantata delle cose. Che brutta attesa. Da bambini avevano imparato che l'attesa è trepidante. Dopo i primissimi anni di vita in cui ci si crede onnipotenti, si impara che il mondo non funziona come la lampada di Aladino, per cui la sfreghi e il genio ti obbedisce. La Provvidenza di cui ci parlavano le nonne e i preti ha percorsi complicati, non immunizza dal male e dal dolore.
Ma abbiamo imparato a fidarci per reggere i colpi della speranza e della disillusione. I genitori, uno zio, un bravo insegnante, un curato. Cerchiamo e poi seguiamo guide nel mestiere di geometra o giornalista o artigiano. Ma cerchiamo di più, chi ci sia maestro nel mestiere di vivere oltre che di armeggiare con la cazzuola o con la penna. Lo seguiremo o ci ribelleremo, è la libertà. Troppa enfasi? E che c'entra con la fiducia nel governo? Ci manca questa possibilità di identificarci con persone di questo tipo. Non uomini o donne per forza eccezionali, ma persone nelle quali identificarsi, persino non avendo la medesima idea politica. Ce ne sarebbe bisogno: queste ore non stabiliranno il terzo premio di una lotteria paesana. C'è di mezzo il destino. Il fatto è che coloro cui tocca questa responsabilità hanno dato prova non solo di incompetenza, ma di mancanza di umiltà e di capacità di condivisione, escludendo dal tavolo delle scelte l'opposizione, che nei giorni difficili non rappresenta una sigla, ma una cultura, una sensibilità, che si raccoglie intorno a che cosa? Direi: la bandiera, la Patria, robe così. Figuriamoci. Ci verrebbe da citare Churchill, che non ha indorato nessuna pillola agli inglesi, ma era fuso come un affusto di cannone con i valori della nazione, che venivano prima di lui: erano in pericolo, e bisognava giocarsela. Invece aspettiamo «quelli lì».