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Pietro Senaldi sul discorso di Giorgia Meloni in Aula: "Così fa a pezzi Giuseppe Conte"

Pietro Senaldi
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Giorgia Meloni ieri ha restituito dignità a un Parlamento umiliato in questi mesi dal governo. Con il pretesto della pandemia, il premier ha esautorato e svilito le Camere; inutilmente, possiamo dire oggi, alla luce dei risultati. Lo stato d'emergenza, che se dura un anno è una contraddizione in termini, giacché l'emergenza è avvenimento improvviso e non cronico e annunciato, è servito unicamente a mascherare, senza curare, la debolezza di un esecutivo messo insieme al solo scopo di impedire al centrodestra di vincere. La leader di Fratelli d'Italia ha svelato il trucco con un'orazione magistrale, rinfacciando ai giallorossi di aver passato l'estate a badare ai fatti propri anziché a prepararsi alla seconda ondata. Il primo agosto la maggioranza ha smontato il decreto sicurezza di Salvini, mentre il centrodestra denunciava la fuga di clandestini positivi dai centri di accoglienza dei migranti e la ministra Lamorgese faceva professione di negazionismo, sostenendo che i profughi non sono untori. Tre giorni dopo Conte prorogava i vertici dei Servizi Segreti, che con comportamento anomalo il premier ha sempre avocato a sé, mentre Fdi chiedeva conto dei 12 milioni spesi dal leader del Pd e presidente della Regione Lazio, Zingaretti, per mascherine mai arrivate e si informava su dove fosse l'ospedale Covid annunciato e mai realizzato dalle sceriffo campano De Luca.

 

 

Al rientro dalle ferie, il 27 e 28 agosto, la maggioranza si è messa al lavoro per elaborare una legge elettorale che impedisca al centrodestra di vincere le prossime elezioni e sul varo della normativa contro l'omofobia, mentre la destra chiedeva di organizzare l'assistenza sanitaria in casa alle persone anziane, le più fragili di fronte al virus. L'atto d'accusa della Meloni è stato una catilinaria. Le inefficienze dell'esecutivo descritte sono talmente macroscopiche da reggere il sospetto di un tentativo di sabotaggio. E ci sarebbe davvero motivo di pensarlo, se non conoscessimo la profonda incompetenza dei nostri ministri che, quando sono incapaci di risolvere un problema, lo negano. Lo hanno fatto la Azzolina per la scuola, la De Micheli per i mezzi pubblici, Gualtieri per i rimborsi ai titolari delle attività economiche fermate. Ma sul banco degli imputati la leader di Fdi ha messo soprattutto Conte, reo di pensare solo a se stesso e alla sopravvivenza del proprio improbabile esecutivo, ai fatti l'unica calamità «peggiore del Covid».

Il premier è stato invitato a smetterla di specchiarsi dentro Palazzo Chigi e di guardare alle piazze, anziché criminalizzarle nascondendosi dietro i pochi delinquenti che approfittano della protesta per dare sfogo ai propri impulsi. I violenti sono i migliori alleati del governo, incapace di capire la rivolta di questi giorni, non di sinistra e tantomeno grillina, giacché si tratta di persone che chiedono di poter lavorare anziché di avere il reddito di cittadinanza. «Il Paese è in ginocchio» grida la Meloni, ma tutt' altro che adorante. Per risposta, il Pd ha chiesto al governo una verifica, che significa far cadere due o tre teste per poi tirare avanti un altro po'. Non si sa per quanto, perché in un Paese normale, quello che a parole i progressisti vagheggiano, dovremmo essere da un pezzo alle battute finali. «Prima ve ne andate, meglio è» è stato il grido finale della Giovanna d'Arco della Garbatella, o reginetta di Coattonia, come preferiscono chiamarla i sostenitori di questo esecutivo. Tutto sta a vedere quando l'urlo di dolore suo e delle piazze riuscirà a salire al Colle più alto.

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