Gabriele D'Annunzio, la figlia Renata da musa a scrittrice: il libro "Una donna"
Finora è stata solo la figlia prediletta di Gabriele d'Annunzio, la Sirenetta del Notturno. La ragazza amorevole che gli rimase accanto dopo l'incidente aereo che costrinse il poeta a letto, immobile e cieco, colei che tagliò, corresse e trascrisse i circa diecimila cartigli su cui fu scritto Il Notturno. Da qualche giorno Renata d'Annunzio è in libreria con un breve romanzo che fu ritrovato tra le carte di Francesco Montanarella - terzultimo dei suoi otto figli - e donato nel 2018 alla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Il libro s' intitola Una donna (curato da Tobias Fior, pubblicato da Ianieri Edizioni, 143 pp, 12 euro): la protagonista è Lina, una ballerina che, rimasta incinta, viene abbandonata dal padre del bambino e cerca di ricostruirsi una vita tra il desiderio di rimanere fedele all'amore vero e la necessità di arrivare a fine mese. Ma nelle pagine del romanzo c'è molto della vita di Renata e del suo rapporto con un padre che amava e ammirava ma da cui, negli ultimi anni, si era allontanata con dolorosa rassegnazione.Il volume Gabriele d'Annunzio e la figlia Renata: carteggio inedito (1897-1937) di Franco Di Tizio (pubblicato sempre da Ianieri Edizioni) aiuta a capire l'affetto profondo che Renata nutriva per il suo papà nonostante quest' ultimo avesse abbandonato sua madre, Maria Gravina, quando lei aveva solo quattro anni e suo fratello Gabriele Cruillas pochi mesi. D'Annunzio li lascia per andare verso il nuovo orizzonte sentimentale che gli si spalanca davanti dopo l'incontro con Eleonora Duse.
PRIME LETTERE
Renata comincia a scrivere al papà appena impara a tenere in mano la penna («Papaletto mio caro, da ieri che ho ricevuto la lettera tua, la porto sempre con me e non mi par vero che tu ti ricordi della tua Cicciuzza»). Fa di tutto per tenere vivo quel legame attraverso le lettere che spedisce costantemente, anche quando le risposte tardano ad arrivare. «Papaletto mio adorato. In vano ho aspettato una tua lettera. Io ti ho risposto subito, e ti ho riscritto e tu hai dimenticato le tue promesse». E ancora: «Papaletto caro, la famosa lettera si è persa per via? Tu sai quanto mi fa piacere una tua parola, ma non voglio rimproverarti». In più di una missiva Renata si dispera per il silenzio del padre che chiama «Papaletto» mentre lui, generalmente più interessato alla produzione letteraria che a tessere rapporti coi propri figli, si rivolge alla ragazza col vezzeggiativo «Cicciuzza». D'Annunzio ebbe cinque figli di cui due, quelli nati dalla relazione con la Gravina, illegittimi. Non fu certamente un padre presente ma con Renata aveva un legame vero che si rinsaldò dal 15 novembre del 1915 quando la figlia, allora diciottenne, arriva a Venezia per prendersi cura di lui dopo l'incidente aereo sul fronte dell'Isonzo. È un periodo importante per la giovane donna, pieno di conoscenze e nuovi stimoli culturali tanto che, in seguito, decide di annotare in un diario i ricordi, gli incontri e anche i timori legati allo scoppio della Prima gueRra mondiale. Ma quando Renata consegna al papà il suo diario per farlo pubblicare, d'Annunzio si oppone dicendole che la Sirenetta era già stata resa immortale nelle pagine del suo Notturno e non c'era alcuna necessità di darlo alle stampe. Renata pubblicherà soltanto degli stralci prima sulla Nuova Antologia nel 1948 e poi sulle colonne della Domenica del Corriere nel 1952.
IL BANCHIERE INESAURIBILE
I rapporti tra padre e figlia peggiorano sempre più, per la vicenda della mancata pubblicazione ma anche per motivi economici: in una lettera d'Annunzio accusa Renata di trattarlo come «un banchiere inesauribile» e di aver voluto sposare l'uomo che lui non reputava giusto per lei. Nel romanzo di d'Annunzio-figlia, dunque, si riflette la vicenda personale dell'autrice e si ritrovano le atmosfere delle opere dannunziane create dall'uso di termini volutamente arcaici, dalla capacità di scandagliare a fondo la psicologia dei personaggi, dalla scelta sapiente dei termini che non rotolano sul foglio ma si fondono l'uno con l'altro dando ritmo e musicalità alla prosa. Pochi giorni dopo il parto Lina riceve un telegramma che l'avvisa che suo padre sta morendo. Lina affida immediatamente il neonato alle cure di una contadina e torna a Milano per assistere il genitore. Ecco, qui Lina è Renata stessa che corse a Venezia per accudire d'Annunzio nella Casetta Rossa. Nella finzione del romanzo, quando Lina è in ginocchio accanto al papà morente, questi scorge la figlia e, con un gesto stanco, le accarezza il capo. Questa carezza letteraria racchiude il desiderio di Renata di essere perdonata da suo padre che negli ultimi anni non la cercò più né rispose alle sue lettere. «Papà mio caro, da quanto tempo non ti scrivo! Ma l'ho fatto per non annoiarti, perché purtroppo tutto il tuo affetto per me è morto», scriveva il 2 dicembre del 1934. Quattro anni più tardi il Vate moriva.
LE ANALOGIE
Lina, dopo la perdita del padre, riprende il suo lavoro di ballerina e si esibisce a Venezia e qui, ancora una volta, la storia della protagonista del romanzo s' intreccia con quella di Renata. Venezia fa da palcoscenico al grande, unico amore di Lina e poi diventa teatro dei suoi dolori più atroci: prima le arriva da Milano la notizia della morte del figlioletto, poi la perdita del suo uomo. Lei aspetta invano il ritorno di Mario Berni, un ufficiale di Marina che era pronto a sposarla ma la guerra spezza anche questo sogno. La figura di Mario conduce alla vita di Renata che da giovane si era invaghita di Giuseppe Miraglia, primo pilota e compagno di volo di d'Annunzio, morto in un incidente aereo. Lina aveva giurato al suo ufficiale che non avrebbe più calcato un palcoscenico seminuda, ma si ritrova da sola con la madre anziana e sempre meno soldi e così torna a esibirsi. La vita riprende il suo ritmo. Lina si adegua, sceglie la sicurezza di un comodo matrimonio ma il suo cuore rimane a Venezia, nella casa dove con il suo ufficiale visse dieci giorni che valsero un'esistenza. Proprio come Renata che a Venezia, accanto al suo papà, assaporò la pienezza della vita. Dal 1977, un anno dopo la sua morte, Renata riposa al Vittoriale sotto i versi che d'Annunzio le dedicò: «La Sirenetta appare sulla soglia/porta un mazzo di rose/è un angelo che si distacca/da una cantoria fiorentina/quando parla il mio cuore si placa».