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Vittorio Feltri sul Dpcm: "Un casino così non si è mai visto. Questa è storia, non una mia opinione"

Vittorio Feltri
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Tutti coloro che criticano le Regioni e il governo per come viene affrontata l'emergenza Covid sono pregati di avanzare suggerimenti più intelligenti di quelli adottati finora. I fustigatori sino a questo momento si sono limitati a brontolare, cosa che ho fatto anche io, per talune scelte un po' idiote. Per esempio, non capisco per quale dannata ragione i supermercati debbano chiudere il sabato e la domenica, quando sono stati aperti in primavera durante il blocco totale senza creare problemi. Al di là di questi dettagli, su cui è lecito almeno discutere, non mi pare che le limitazioni imposte allo scopo di frenare la cosiddetta seconda ondata siano poi tanto folli.

Vero che il settore terziario soffre poiché bar, ristoranti e alberghi hanno perso molta clientela, tuttavia è ovvio che ciò accada mentre infuria la pandemia. Non è logico prendersela con le Regioni perché il virus rende necessarie regole restrittive che deprimono gli affari. L'imputato è il Covid e non chi magari sbagliando cerca di combatterlo con i pochi mezzi a disposizione. Giusto inveire contro l'Inps in quanto non eroga la cassa integrazione o contro la burocrazia, incapace di liquidare i bonus promessi da Palazzo Chigi. Però esiste un confine invalicabile alle accuse: non è legittimo pretendere che quattro ministri sbandati siano in grado di azzeccare soluzioni che nessun Paese europeo è riuscito a mettere in pratica. Le Regioni in particolare meritano un minimo di pietà. Sono enti relativamente nuovi, poco radicati sul territorio. Non si comprende bene quale ruolo istituzionale ricoprano, quanto pesino in ambito sanitario nella organizzazione ospedaliera.

Chi comanda: le giunte locali o i responsabili dei vari dicasteri? Spiegatecelo, per favore. Intanto constatiamo che l'Italia non è un Paese unito: la Campania, presa dal terrore, viene blindata, mentre la Lombardia si blinda appena appena. Un casino così non si era mai visto. Eppure ciò non ci stupisce. La nostra patria è sempre stata, per secoli, il Paese dei Comuni, ciascuno di essi in bega con gli altri. Questa è storia, non una mia opinione. Fino a cinquanta anni orsono abitavo ad Arcene, un piccolo centro presso Treviglio, in una cascina piena di animali domestici. La domenica, verso le 14, i giovani arcenesi si recavano in gruppo a Levate, lungo la ferrovia, e sfidavano i coetanei a fare a cazzotti.

Risse pazzesche che si rinnovavano settimanalmente. Perché? Questioni di fidanzate, che erano contese fra i due gruppi. Certe rivalità certificavano: le lotte comunali erano talmente accese da dimostrare che l'unità nazionale, e perfino provinciale, era una chimera. Ora pretendere che si instauri una coesione regionale è velleitario. Se chiedi a uno della Valseriana poco acculturato in quale regione sia Cremona, capace che ti risponda: Emilia. Sondrio poi qualcuno giurerebbe che sia in Svizzera o in Trentino. Questo per specificare che il regionalismo costituisce ancora una mela acerba. Siamo fermi all'Italia dei Comuni.

 

 

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