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Roberto D'Alimonte, su Salvini e Meloni: "Un nuovo sovranismo eurocritico. Ma attenzione ai rapporti di forza"

Fausto Carioti
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Avvertimento di Roberto D'Alimonte, politologo italiano e massimo esperto di sistemi elettorali: il sistema proporzionale che i giallorossi vogliono introdurre è sbagliato. Serve a loro per fermare la corsa del centrodestra, ma va in direzione opposta a ciò che è già stato fatto a livello comunale e regionale, e adesso servirebbe al Paese anche a livello nazionale. Ossia un governo e un premier con più poteri e un sistema che consenta la creazione di maggioranze stabili, scelte in modo trasparente dagli elettori perché dichiarate prima del voto. Eppure, professore, con lo stato di emergenza, non previsto dalla nostra Costituzione, e a colpi di Dpcm, si è visto un governo forte, in molte occasioni irresponsabile nei confronti del Parlamento. Un esecutivo lontanissimo dalle intenzioni dei costituenti.

È il segno che la Costituzione si è dimostrata elastica quanto basta per reggere alla prova dei tempi o che essa è ormai inadeguata?

«Io non sono del parere che questo sia un governo forte. Nemmeno un governo irresponsabile. È un governo che sta affrontando una situazione di emergenza del tutto nuova. Ha fatto errori e ne farà probabilmente altri, ma ha diritto ad avere il beneficio del dubbio. Tutt' altra questione è la riforma della Costituzione. Io ho votato a favore della riforma Renzi e lo rifarei. La nostra Costituzione non va rifatta. Va rivista. Occorre superare finalmente il bicameralismo paritario, va rafforzato il ruolo del governo in parlamento e il ruolo del premier all'interno del consiglio dei ministri, vanno ridisegnati i rapporti tra Stato e regioni, va abolito il Cnel. Tanto per fare alcuni esempi significativi».

La grande riforma cui pensa la maggioranza è invece quella della legge elettorale. Alcuni esponenti giallorossi sostengono che è indispensabile farla, in seguito alla riduzione del numero dei parlamentari. È davvero così? Non si può andare a votare col sistema attuale?

«La riforma elettorale è una scelta politica, non una necessità conseguente al taglio dei parlamentari. Si può tranquillamente votare con il sistema attuale».

Fatto sta che la maggioranza punta a un sistema proporzionale con clausola di sbarramento al 5%, o giù di lì. Nessun partito sarebbe tenuto a dichiarare le proprie alleanze prima del voto, la sera delle elezioni non si saprebbe chi governa, ogni maggioranza sarebbe facile ostaggio dei partitini.

«Quella proposta dai partiti di maggioranza è una riforma sbagliata. In questa fase della nostra storia abbiamo bisogno di un sistema elettorale che favorisca la creazione di coalizioni prima del voto e la trasformazione di una maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta di seggi. Quindi abbiamo bisogno di un sistema elettorale che contenga incentivi sufficienti perché i partiti si alleino prima del voto e che sia moderatamente "disproporzionale".

Come avviene a livello di Comuni e di Regioni. Sono anche convinto che sia meglio dare agli elettori due voti invece di uno». Con il doppio turno?

«Sì. Con il primo voto gli elettori votano il partito preferito, con il secondo la coalizione di governo. In questo modo si crea un rapporto diretto tra il voto e il governo del Paese, a tutto vantaggio della chiarezza delle scelte e della responsabilizzazione degli elettori e degli eletti».

L'impressione, invece, è che il vero scopo della riforma sia impedire una vittoria netta del centrodestra alle prossime elezioni.

«La sua impressione è fondata. È lo stesso motivo per cui Berlusconi fece la riforma elettorale nel 2005. Voleva impedire la vittoria di Prodi e per questo sostituì i collegi uninominali del Mattarellum con il premio di maggioranza del Porcellum. È ora di mettere fine a questa spirale perversa per cui chi in un dato momento controlla il parlamento si fa la legge elettorale che gli conviene. È un comportamento irresponsabile che alimenta la sfiducia dei cittadini nei confronti della classe politica e delle istituzioni».

Le elezioni regionali hanno ufficializzato la crisi del M5S. Lo scontro interno con Davide Casaleggio sta facendo il resto. Crede che a questo punto la strada del movimento sia segnata? È destinato ad essere la costola populista del Pd? Ovvero: stiamo tornando al bipolarismo?

«Il termine "costola" non mi piace. Il movimento deve semplicemente scegliere tra il tornare ad essere una forza politica di protesta, che sta per i fatti suoi, oppure un partito che accetta di stringere un accordo con il Pd, e in futuro con altri, per dar vita a uno schieramento competitivo e alternativo al centrodestra. In questo ultimo caso la dinamica della competizione politica tornerebbe a essere di tipo bipolare. Naturalmente il sistema elettorale è un elemento decisivo. Il mantenimento del Rosatellum o l'introduzione di un sistema a due turni, o comunque maggioritario, favorirebbe questa evoluzione».

 

 

Nel centrodestra la novità delle ultime settimane è il tentativo di Matteo Salvini di trasformare la Lega in qualcosa di diverso: meno anti-europeista, più vicino agli Stati Uniti e più liberale. Qualcosa di simile al partito repubblicano americano, tentazione che in passato fu anche di Silvio Berlusconi. Lo ritiene un tentativo credibile? È Salvini la persona giusta?

«Pare anche a me che qualcosa si stia muovendo a destra. Salvini e anche - prima di lui - Giorgia Meloni sembrano aver cambiato toni nei confronti dell'Europa. Se sono rose, fioriranno. E se fioriranno, sarà un fatto molto positivo per il Paese, che ha bisogno di un forte ancoraggio all'Europa. Dividersi sulle politiche europee va bene, ma dividersi sullo stare dentro o fuori è deleterio. Per questo seguo con molto interesse ciò che sta succedendo a destra. In ogni caso, né Salvini né la Meloni abbandoneranno il tema del sovranismo. Lo declineranno in chiave euroscettica ed eurocritica, invece che visceralmente antieuropea».

La Lega è comunque lontana dall'ottenere i consensi che vorrebbe Salvini al Sud, dove invece è ben presente Fdi. Questa competizione rappresenta un problema o una forza per il centrodestra?

«Non c'è dubbio che Lega e Fdi siano in competizione per i voti lasciati liberi da Alleanza nazionale e da Forza Italia. Fino alle elezioni europee Salvini ha avuto buon gioco a occupare quel vuoto politico. Ma, a ben vedere, già prima delle Europee Fdi stava recuperando consensi e alleanze in quest' area del Paese in cui An, da cui Fdi proviene, ha sempre avuto la sua base elettorale più consistente. Dopo le Europee la competizione tra i due si è accentuata, a vantaggio della Meloni. Potrà diventare un problema se i due leader non sapranno gestire, dentro la coalizione, un rapporto che è ancora favorevole a Salvini, ma che non è più così asimmetrico come in passato».

Ma esiste davvero un blocco sostanzioso di elettori di centro privo di rappresentanza e quindi possibile terreno di conquista? O è una figura mitologica del giornalismo e della politica nostrani?

«Gli elettori di centro ci sono. Manca un'offerta adeguata. Troppe formazioni che gravitano in quell'area non riescono a parlare a quegli italiani».

Di certo una legge proporzionale favorirebbe la nascita di nuove sigle. È già spuntato un partito cattolico, su spunto dell'economista Stefano Zamagni e benedetto dal Vaticano. In Italia essere credenti è ancora un segno di identità politica? Gli elettori e i politici cattolici si sono sparsi in tutti i partiti, non sembrano avere nostalgia della Dc...

«Un sistema proporzionale favorisce la proliferazione di sigle, ma molto dipenderà dalla soglia di sbarramento prevista dalla legge. Quanto a un partito dei cattolici, oggi non vedo le condizioni perché una iniziativa del genere possa avere successo. E mi pare che nemmeno la Chiesa sia davvero interessata».

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