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Coronavirus, altro disastro di governo: caos totale sulle autopsie

Nicola Apollonio
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Non si fa che discutere, in questi giorni, della crescente curva dei contagi da coronavirus, tanto che il governo ha deciso di emanare l'ennesimo Dpcm. Ne dibattono maggioranza e opposizione, e fanno sentire la loro voce soprattutto i virologi, che quasi mai si trovano d'accordo tra loro. Ogni giorno si snocciolano cifre sui contagiati, sui ricoverati e sulle vittime, ma nessuno spiega mai di quale effettivo male siano deceduti molti pazienti. Così, l'ignaro cittadino che legge i giornali o guarda i talk show televisivi non riesce a comprendere se siano tutti morti a causa del Covid o se abbiano tirato le cuoia per altre patologie. Così, già a maggio scorso era arrivata da Bergamo una scoperta sorprendente: i medici dell'ospedale Papa Giovanni XXIII avevano eseguito una serie di autopsie sui morti di coronavirus, rilevando che molti decessi erano da attribuire non alla polmonite, ma «a una trombosi insorta nelle ultime fasi della malattia».

Questo aveva dichiarato al Corriere della Sera Andrea Gianatti, direttore del dipartimento di medicina di laboratorio e anatomia patologica dell'ospedale orobico, mettendo in evidenza il fatto che il virus si attacchi ad alcuni ricettori che si trovano proprio lungo i vasi sanguigni, «e più in generale - spiegò - che riesca a mettere in moto una serie di effetti che da un certo momento in poi non dipendono più da "lui", ma ci sono e possono anche essere letali». Insomma, lo studio dell'ospedale di Bergamo mette in evidenza che più malati sono deceduti per l'insorgenza di trombosi dopo la fase acuta della polmonite, quindi significa che soltanto con l'autopsia si può capire chi muore di coronavirus o con il coronavirus.

Si è discusso molto sull'opportunità di fare o di non fare le autopsie. Finanche alcune circolari del ministero della salute - ricordava il dottor Gianatti - dicevano sostanzialmente di non fare autopsie sui pazienti deceduti a causa del Covid in quanto si conosceva già la causa del decesso. Anche se l'Istituto superiore di sanità, all'inizio dell'epidemia, aveva provato a sottolineare quanto la distinzione fra morti "di" e morti "con" fosse fondamentale, ma Conte aveva messo immediatamente a tacere i vertici dell'Istituto: i numeri dei morti dovevano lievitare. È tutto nero su bianco nella circolare "Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia Covid-19 riguardante il settore funebre, cimiteriale e di cremazione" della Direzione generale della prevenzione sanitaria, firmata dal segretario generale Giuseppe Ruocco e inviata a tutti i destinatari competenti.

Al punto C, intitolato Esami autoptici e riscontri diagnostici, al paragrafo 1 si legge: "Per l'intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all'esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati Covid-19, sia se deceduti presso reparti ospedalieri sia se deceduti presso il proprio domicilio". Allora, visto che il paziente deceduto non è più fonte di dispersione del virus nell'ambiente, per quale ragione "non si dovrebbe procedere" per capire fino in fondo i motivi della morte? E perché i risultati delle autopsie effettuate non devono essere conosciuti, nonostante venga evidenziato che il decesso di una percentuale di malati di Covid-19 non è dovuto alla grave infezione polmonare ma a causa di trombosi? Accadeva nei primi mesi dell'anno a Bergamo e si sta ripetendo anche oggi, da nord a sud del Paese. I telegiornali ci danno conto dei contagi ma nessuno ci dice quanti pazienti sono deceduti per covid e quanti per altre patologie. Naturale, dunque, che nasca il sospetto dei numeri "gonfiati" per giustificare il Dpcm sui limiti delle libertà fondamentali. 

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