Nicola Zingaretti pensa alla parità di genere nel Recovery Fund mentre il Lazio affoga nel coronavirus
I soldi della Ue non si sa ancora se e quando arriveranno, ma almeno abbiamo capito a cosa servono: a migliorare la condizione femminile. E noi fessi che pensavamo alle imprese che chiudono, alla disoccupazione che esplode, alle opere non finite, al sistema sanitario che non regge. Macché. «L'obiettivo centrale del Recovery fund è la parità di genere». Parola di Nicola Zingaretti. Non c'è da ridere, la questione è seria. Mentre i bollettini sui contagi stilati dalla protezione civile continuano a snocciolare giorno dopo giorno numeri da brivido per il Lazio, il presidente della Regione ha voluto sottolineare, con un lungo post su Facebook, che «la pandemia non ha solo messo in crisi un modello di sviluppo, ha messo in luce tutte le sue contraddizioni e le cose che non vanno». Parlerà mica della sparizione di 3.600 posti letto negli ultimi 10 anni, mille dei quali si sono volatilizzati sotto la sua amministrazione? Nossignore. Il problema è «lo scarso ruolo e peso delle donne nel lavoro, nelle imprese, nella società». Ora, per carità, nessuno mette in discussione l'importanza di garantire a tutti uguali opportunità, ci sono problemi di carattere sociale, culturale ed economico che riguardano il gentil sesso che vanno sicuramente affrontati e risolti.
Però eravamo convinti che quello che sta accadendo nel Paese, e soprattutto nel Lazio, avesse dettato ben altre priorità. Solo qualche giorno fa, tanto per fare un esempio, l'insospettabile Walter Ricciardi, che oltre ad essere membro esecutivo dell'Oms è consigliere del ministro piddino, Roberto Speranza, ha rivelato che i reparti Covid nella Regione amministrata da Zingaretti sono già pieni. Strano, direte voi, considerati i grandi annunci fatti la scorsa primavera dall'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, non aveva annunciato la scorsa primavera. Eppure, così è. Malgrado i mesi passati dalla prima ondata, il ritorno dei contagi ha colto la Regione di sorpresa. I dati ufficiali parlano di 83 persone in terapia intensiva, vale a dire il 15% dei posti disponibili. Solo la Liguria, la Valle d'Aosta e la Sardegna registrano valori più alti. Ancora peggio va sui ricoveri ordinari, a quota 896, che hanno raggiunto una percentuale di riempimento del 25%, record negativo a livello nazionale, detenuto insieme alla Campania.
REPARTI SATURI
Ma si tratta di statistiche che non raccontano tutto. Se invece di fare i calcoli sul totale dei posti letto, si prendono in considerazione gli spazi predisposti per la cura di pazienti in grado di contagiare gli altri, i numeri si riducono drasticamente. I reparti ordinari sono praticamente saturi, la terapia intensiva lo sarà a breve. È il risultato non solo della sottovalutazione del rimbalzo dell'epidemia (ieri 579 casi, dato inferiore solo a Lombardia, Campania e Piemonte), dovuta principalmente al fatto che nella prima fase il Lazio era stato colpito quasi di striscio, ma anche della dieta dimagrante che la Regione, per rientrare dall'enorme indebitamento accumulato negli anni sul fronte sanitario, ha sottoposto il settore.
Nel 2012 la Regione aveva complessivamente 72 strutture di ricovero pubblico, nel 2017 sono diventate 56. Mentre i 46 ospedali a gestione diretta secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute sono passati a 33. Per affrontare il Covid Zingaretti ha improvvisato, esattamente come è successo sulle mascherine (ieri l'Anac ha "assolto" La Pisana, restano i 14 milioni spesi in cambio di nulla), puntando su un sistema a fisarmonica, in grado di estendersi e contrarsi in base alle esigenze. Ma i fatti stanno dimostrando che lo strumento non è in grado di seguire lo spartito. L'impennata dei nuovi casi (attualmente a quota 10.637) ha travolto il fragile meccanismo messo a punto dal segretario del Pd, suscitando seri dubbi sulla tenuta delle strutture sanitarie nelle prossime settimane, se non giorni. Del resto, la strategia di Zingaretti per combattere il Covid è nota: tamponi a tappeto per scovare i positivi asintomatici. Sarà per questo che per fare un test ai drive in della Capitale si impiegano dalle 3 alle 5 ore, con file di macchine che si aggirano in media sui 200 veicoli. Dettagli che non preoccupano troppo il segretario. Con la parità di genere tutto si sistemerà.