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Roberto Castelli contro la magistratura: "Luca Palamara, quanta ipocrisia. I 49 milioni della Lega? Non esistono"

Roberto Castelli

Antonio Rapisarda
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Una cosa va detta subito, apertis verbis: se la riforma che noi avevamo fatto fosse andata avanti il caso Palamara non sarebbe esistito. Perché noi avevamo rivoluzionato completamente il sistema di avanzamento delle carriere...». Roberto Castelli, già ministro leghista della Giustizia nel secondo governo Berlusconi, non legge né con disincanto né con distacco l'affresco fornito dalla vicenda che riguarda l'ex pm, radiato dalla sezione disciplinare del Csm in quanto - secondo il procuratore generale della Cassazione - regista ed organizzatore del sistema delle nomine. L'ex Guardasigilli è "semplicemente" arrabbiato per due cose. La prima è, appunto, l'amarezza per aver fornito la soluzione al dilagare correntismo: riforma, poi, devitalizzata subito dai successori di centrosinistra. La seconda, come spiega a Libero, è l'ipocrisia degli addetti ai lavori: «Fa veramente specie vedere tutti far finta di essere sorpresi e puntare il dito sull'"uomo nero"».

Onorevole Castelli, a cosa e a chi si riferisce?

«Luca Palamara è stato uno dei tanti. La differenza fra lui e gli altri è che all'ex pm hanno messo il trojan e agli altri no. Avessero messo il trojan in altri trenta telefoni ne sarebbero usciti almeno venti di casi simili...».

Che cos' ha pensato quando ha letto la notizia della radiazione?

«Ho pensato e penso: è il trionfo dell'ipocrisia. Stento a restare calmo davanti a una cosa del genere, in cui sembra che Palamara abbia prima inventato un metodo, poi perseguito questo e che adesso - estirpata la mala pianta - la magistratura italiana tornerà al suo Sacro Graal, alle sue pratiche assolutamente irreprensibili».

Come stanno dunque le cose?

«Chiunque si sia occupato di giustizia in questo Paese sa che si tratta di una pratica comune, perseguita da molti fra coloro che hanno avuto e hanno potere in quell'ambito. Di certo ciò accade fin dai tempi del mio incarico da ministro».

La decisione del Csm nei confronti dell'ex capo dell'Anm è stata velocissima. Bene così?

«Chiariamolo. La giustizia, qui, non è quella a cui anela il cittadino: si tratta di un'azione all'interno della magistratura stessa. Però sì, sono stati estremamente veloci. Su questo non vi è alcun dubbio...».

Renato Farina qui su Libero ha parlato di "omertà raffinatissima" a proposito della decisione di escludere i 133 testimoni che Palamara intendeva portare in Aula. (Ride)

«Sarebbe venuto fuori un'iradiddìo. Sarebbe stato un autodafé della magistratura italiana».

Senza "l'uomo nero" il Csm è salvo dal correntismo e dalle sue distorsioni?

«Il Csm è salvo dal fatto che queste pratiche sono venute a conoscenza dell'opinione pubblica. Poi se adesso decideranno di non perseguirle più ben venga. Ma i presupposti affinché possano essere perseguite da altri - come è accaduto in tutti questi anni - sono ancora tutti lì. Anzi, mi faccia dire una cosa».

 

 

Prego.

«Un'altra cosa incredibile è che ho sentito tanti esponenti della magistratura "militante" dire che la causa di tutto ciò è stata la riforma del 2006. Ma se l'hanno fatta loro?!».

Sta parlando della riforma Mastella?

«Quando noi abbiamo perso le elezioni ed è arrivato Mastella ministro della Giustizia, sono stati chiamati diversi esimi magistrati per buttare alle ortiche il nostro lavoro. E proprio con l'aiuto di tutta la magistratura militante è stata fatta questa nuova riforma che oggi loro stessi - cioè coloro che l'hanno fatta - accusano di essere la causa del carrierismo dei magistrati».

Palamara stesso, nella sua nuova veste di iscritto ai Radicali, si pone come obiettivo quello di rendere i magistrati «indipendenti dai gruppi associativi». Era lo stesso della riforma Castelli.

«Era un obiettivo ma non è rimasto sulla carta: era stata realizzata questa cosa. Avevamo staccato la dipendenza dei magistrati dalle correnti. Naturalmente questo era il massimo degli "scandali" che sarebbe potuto avvenire. Tant' è che si sono affrettati a ripristinare le cose come erano prima. Anzi, stando a quello che dicono loro stessi adesso, le hanno ancora peggiorate».

La sensazione, per usare un eufemismo, è che non si è avuto il coraggio di andare in profondità davanti all'occasione di scardinare un meccanismo che offende il lavoro di tanti magistrati indipendenti.

«A mancare è stato l'interesse, non il coraggio. Non c'è stato l'interesse del cosiddetto mainstream. Perché non vi è alcun dubbio che in Italia esiste un mainstream dominante, fatto dalla sinistra: la quale ha occupato l'università, la cultura e, ovviamente, la magistratura. Il marciume nasce da lì. E quindi questo establishment ha tutto l'interesse a tenere sottotraccia questa cosa».

E l'opinione pubblica?

«Che dire: da qualsiasi altra parte si fosse scoperto che la magistratura ragionava secondo questi termini sarebbe scoppiata la rivoluzione. Qui non è successo nulla. In qualsiasi altro Paese, poi, fossero venute fuori le intercettazioni in cui si diceva "sì, tal politico..." - guarda caso Matteo Salvini - "ha ragione ma va colpito", credo che anche lì sarebbe scoppiata la rivoluzione. Qua è passata persino questa cosa Due aspetti che mi fanno pensare molto male dello stato psicologico ed etico del nostro Paese. Ma la vera domanda, se permette, è un'altra».

La faccia pure.

«Perché c'è stato qualcuno che ha deciso di far uscire allo scoperto questa cosa, con tanto di trojan nel telefono di Palamara? Chiunque l'ha ordinato sapeva benissimo che cosa sarebbe venuto fuori».

Beh, Palamara ha detto che i guai per lui sono iniziati quando ha posizionato la sua corrente sul fronte moderato.

«Se lo dice lui che era un protagonista di queste cose... È interessante capire perché qualcuno dice "Muoia Sansone con tutti i filistei". Resta il fatto che è morto Sansone e i filistei sono ancora lì...».

Intanto i temi che lei lanciò da ministro - la separazione delle funzioni dei magistrati, le procedure di progressione di carriera, le procedure disciplinari - toccano la carne viva dell'attualità.

«E certo. È venuto tutto fuori in maniera precisa. Per prima cosa: noi avevamo ragione. E ci dicevano invece che eravamo strumentalizzati dagli interessi di Berlusconi. In secondo luogo: è vero che i processi erano politicizzati. E infine: è venuto fuori che non è cambiato niente da allora. Ecco, non riesco a capire perché nemmeno la destra non ha detto nulla su questo: sul fatto che avevamo e abbiamo ragione noi».

Intanto Salvini è finito in Tribunale per aver fatto il suo dovere di ministro. E a spedircelo è stata la stessa politica. L'ennesimo cedimento?

«Davanti alle intercettazioni delle chat di Palamara è una strumentalizzazione quel processo lì. Ma infatti mi pare che il pm abbia chiesto il proscioglimento. Segno che addirittura c'è un ripensamento della stessa magistratura che si dimostra più "avanti" rispetto alla politica. Paradossalmente mi sembra così. Forse c'è un giudice a Catania...».

Si tenta di accerchiare la Lega: come prima si faceva con Forza Italia. La storia giudiziaria si ripete come un loop.

«Esatto. Caso Russia: che fine ha fatto? Sparito. Sui 49 milioni, poi, posso dire che io ero dentro il comitato amministrativo della Lega. Litigavo tutti i giorni con Belsito quando mi faceva vedere i conti. I 49 milioni semplicemente non esistono, non e-si-sto-no. Sono i soldi che sono stati presi dalla Lega in quegli anni, a titolo di rimborso elettorale, spesi per le necessità del partito. Stesso discorso sui commercialisti del Carroccio: se c'è un commercialista che a quanto pare ha fatto la cresta da qualche parte è irrilevante dal punto di vista politico. Lo sanno tutti che crearci un caso è solo una montatura ad arte. Ma non ci si arrende, evidentemente, a montare ancora questa panna».

Il cedimento sul taglio dei parlamentari renderà la politica ancora più succube delle Procure?

«No. Il cedimento fondamentale è sullo status dei parlamentari non sul numero. Noi continuiamo sull'onda di questo giustizialismo, per il quale non esistono colpevoli o innocenti ma solo colpevoli e colpevoli non ancora scoperti. Mi pare che si sia totalmente succubi di questa linea. Il principio di separazione dei poteri e di equilibrio fra i poteri è andato a farsi benedire. Oggi il magistrato ha tutti i poteri sulla politica ma la politica non ha alcun potere sulla magistratura».

 

 

 

 

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