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Pietro Senaldi, Luca Palamara e la sua nuova carriera: "Dopo la radiazione farsa, non è ancora finita"

Pietro Senaldi
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Colpirne uno per assolverne cento. La radiazione dell'ex presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara era un finale scontato. Prove inconfutabili ne hanno dimostrato la gestione clientelare e politicizzata delle nomine delle più alte cariche dei tribunali e procure. Lo sapevano tutti da decenni, fin da quando durante il processo Tortora, metà anni '80, l'avvocato Della Valle, futuro vicepresidente azzurro della Camera, denunciò in aula la giustizia spettacolo e le sue trame di potere. Le intercettazioni delle conversazioni di Palamara con colleghi e politici, nemesi delle toghe, hanno impedito che questa volta si facesse finta di nulla. Esse però sono solo l'inizio dello scandalo. Più imbarazzante dei colloqui tra giudici emersi è non tanto l'esito, previsto, del procedimento disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti dell'ex presidente dell'Anm, bensì il suo svolgimento. Palamara ha chiamato a sua difesa 133 testimoni, un esercito in grado di sputtanare il sistema. Se i magistrati avessero voluto fare pulizia al loro interno, avrebbero colto l'opportunità per avviare un processo di trasparenza, sanguinoso e infamante, ma che alla fine avrebbe potuto restituire un po' di credibilità al terzo potere dello Stato, la cui popolarità è scesa a quotazioni bassissime presso l'elettorato. Invece il Csm si è affrettato a chiudere il giudizio in tempi record, non ascoltando nessuno, praticamente neppure l'imputato, che forse in Cina o Turchia avrebbe avuto un procedimento più equo. Un raro spettacolo di denegata giustizia con cui la corporazione in toga si illude di mettere una pietra tombale sui propri peccati e offrire una parvenza di diritto all'opinione pubblica.

 

 

 


È solo ingenuità? - Il grande ex procuratore Carlo Nordio ha scritto sul Messaggero che Palamara si è difeso ingenuamente; non ha invocato misericordia, come si usa di fronte alle corti staliniste, e la sua lo era, ma neppure puntato davvero l'indice contro i suoi giudici. Si è limitato ad accuse generiche, sostenendo di essere parte di un ingranaggio e interprete di uno spartito corale, una sorta di presidente Arlecchino servo di duecento padroni in toga. Tutto vero, ma non ha fatto nomi e cognomi, e perciò Nordio lo invita a vuotare il sacco «per evitare il perdurare di un'atmosfera di sospetto che continuerà a gravare su tutta la magistratura, che davvero non se lo merita». Non abbiamo nulla da insegnare a Nordio, ma gli confidiamo un sospetto che il suo cuore da procuratore non riesce a suggerirgli. Palamara è spalle al muro ma non si difende, o lo fa poco e male. Dubitiamo per ingenuità. La sua conferenza stampa ricorda il discorso di Craxi in Parlamento, durante Mani Pulite, quando accusò tutti di essere come lui. Anche il leader socialista non fece nomi e cognomi. Non intuì quel che sarebbe successo, forse voleva tenersi una via di fuga o un'arma di ricatto. Così, i 133 testimoni inascoltati di Palamara sono altrettanti proiettili puntati alle tempie dei suoi giudici pronti a sparare.

Le responsabilità - L'ex leader dell'Anm è tutt' altro che uno sprovveduto, altrimenti non sarebbe arrivato a capo dei giudici prima dei 40 anni. Tutti lo conoscevano e l'ex presidente Cossiga ebbe a insultarlo pubblicamente, accusandolo di essere un trafficone. I magistrati lo scelsero come spiccia-faccende e lui onorò l'incarico perfettamente, tanto che a 45 anni fu premiato e nominato membro togato del Csm. Della sua carriera lampo è responsabile tutta la magistratura. Colpa in eligendo e in vigilando, dicono i tecnici: fu scelto e lasciato libero di agire, o più probabilmente agì in armonia con tutti. Ci sono tanti incarichi e altrettante poltrone che un ex magistrato di grido, ancorché radiato, può ricoprire. La testa di Palamara è rotolata sotto la furia giustizialista mediatica, e non poteva andare diversamente. Adesso o l'interessato parla, e allora è davvero finito, ma avrà la soddisfazione di trascinarsi nella fossa i suoi detrattori. Oppure sceglierà di avere una nuova vita, difficilmente come gestore di un chiosco ai Caraibi. In ogni caso, peggio di lui, solo la categoria alla quale apparteneva. La farsa non è certo finita.

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