Cerca
Cerca
+

Matteo Salvini e la "svolta liberale", Pietro Senaldi: "Tutte le carte in regola", altro che spot cosa c'è dietro

Pietro Senaldi
  • a
  • a
  • a

È giunta l'ora della rivoluzione liberale in salsa leghista-sovranista. L'ha annunciata Matteo Salvini. Bando alle ironie, nella politica italiana le abbiamo viste tutte. Se i grillini, che sono nati per mandare a quel Paese il Pd, ora ci governano insieme fingendo di essere pappa e ciccia da sempre, il capo della Lega, dopo aver prima superato e poi quadruplicato Berlusconi nei consensi, potrà ben appropriarsi del vecchio slogan dell'alleato di una vita. La rivoluzione liberale fu la grande promessa con la quale Silvio scese in campo, nel 1994. Poi non la fece mai, neppure quando, anni dopo, venne mandato a Palazzo Chigi con un plebiscito; anzi, appena iniziò a masticare di politica, si industriò per far fuori dalle liste azzurre tutta l'infornata di intellettuali illuminati con la quale si presentò la prima volta. Non che il Cavaliere abbia mentito fin dall'inizio agli italiani o non sia, a modo suo, liberale. È la maggioranza dei nostri connazionali a non essere né moderata né spiccatamente industriosa, valoriale o democratica; pertanto chi governa, se non vuole avere guai, deve lasciare lettera morta ogni proposito di rivoluzione migliorativa. Per i detrattori di Salvini è facile dire che quella liberale, per il leader della Lega, è solo l'ultima conversione. Partito indipendentista, Matteo si è fatto sovranista. Da europarlamentare voleva uscire dall'euro, ma da aspirante premier si limita a bacchettare la Ue, rimodulando la critica da distruttiva a costruttiva. I maligni, più che di conversione, parlano di salta-fosso e sostengono che l'ex ministro dell'Interno si sia convinto a cambiare scacchiera per mancanza di argomenti; quando uno non sa più cosa dire in questo Paese, tira fuori la rivoluzione liberale, un jolly che vale come carta della disperazione.

 

 

LE RAGIONI DI UNA SCELTA
Noi di Libero abbiamo le nostre perplessità su quanto l'Italia sia pronta a un'iniezione di liberalismo, e un po' anche sul fatto che il Capitano sia l'infermiere ideale per somministrare la cura al malconcio paziente. Però gli uomini vanno rispettati per la loro storia. Il leader leghista, quando punta l'obiettivo, ha dimostrato di essere capace di perseguirlo; quindi gli concediamo più di un'apertura di credito e proviamo ad analizzare i motivi della scelta. Il fine di Salvini è manifesto, l'ha scritto pure sul simbolo del partito: diventare premier. Per farlo, come gli suggeriscono tutti gli osservatori, deve allargare il campo di gioco e uscire dal recinto della destra in cui lo hanno infilato le opposizioni e le alleanze europee. L'annuncio della rivoluzione liberale è un primo passo, non in contraddizione con il sovranismo, come invece i rivali di Matteo insinuano. L'America è sovranista ma liberale e i nemici dei nazionalisti sono i grandi organismi sovranazionali, che vogliono cancellare l'identità dei popoli e imporre piani di politica economica socialisteggianti, che soffocano l'economia privata e le singole realtà a vantaggio di grandi potenze ed enormi multinazionali.

QUESTIONE DI DNA
La Lega ha nel suo dna uno spirito liberale, che le deriva dalla sua matrice indipendentista e dalla vicinanza all'imprenditoria e al mondo dei professionisti e degli artigiani che hanno fatto la fortuna del Nord. Lo slogan di cui si è appropriato Salvini ne svela l'intenzione di aprirsi a una leadership più collegiale e la volontà di risolvere una volta per tutte i quei supposti conflitti tra una Lega radicale e nazionale e una Lega moderata e del territorio. Siamo in tempi in cui i capi politici durano lo spazio di un mattino, come insegna il caso Renzi. Ma la stoffa di un politico si misura anche dalla sua capacità di rinnovare l'offerta in base ai cambi di congiuntura e alle esigenze della società. Il Covid ha scombinato tutto. La paura del virus ha portato una richiesta di competenza e azzerato la protesta grillina, distrutta dalla prova del governo. La risposta che M5S e Pd danno è una politica di debiti, divieti e sussidi. La maggioranza si sta spostando sempre più a sinistra. Al centro, fioriscono proposte sovrapponibili, da Renzi a Calenda, che hanno lo scopo di recuperare l'elettorato berlusconiano ma, provenendo da sinistra, non vi riescono. Speriamo nelle iniziative di Carfagna e Toti, però campa-cavallo. Al momento la Lega, primo partito in Italia, è la più attrezzata a raccogliere le richieste di un'inversione liberale che, si ricordi, storicamente significa di centrodestra. Matteo non è Einaudi, ma per fortuna non è neppure Zanone. Se ci si guarda intorno, non è difficile intuire che è senz' altro più liberale lui rispetto a Zingaretti, Grillo, Conte, Speranza, Franceschini, e forse perfino rispetto a Monti, Calenda, Sala o Draghi. 

Dai blog