Giuseppe Conte viola la Costituzione: da avvocato a sovrano
«Meno libertà per tutelare la salute». Il presidente del Consiglio così dicendo butta giù la maschera e disvela il suo vero obiettivo: allungare lo stato di emergenza, per continuare a governare attraverso una cascata di atti amministrativi - i Dpcm - esautorando il Parlamento sovrano e ignorando le funzioni e il ruolo del capo dello Stato. A nulla valgono gli allarmi lanciati dai più autorevoli costituzionalisti sul pericolo che un tale modo di operare possa introdurre pesanti elementi di illiberalità nel nostro sistema politico. Così come nelle stanze di Palazzo Chigi furono accolte con sprezzante indifferenza le osservazioni di Marta Cartabia - si espresse quando era ancora presidente della Corte costituzionale - sul fatto che nel nostro ordinamento non vi fosse traccia dello "stato di eccezione". Vale la pena di accantonare le ragioni sanitarie - le quali, peraltro, sono meno gravi che in altri Paesi - per meglio riflettere sulle conseguenze politico-istituzionali delle scelte di Giuseppe Conte. Intanto, occorre fare chiarezza sul terreno concettuale. Il teorico "dell'eccezionalità", Carl Schmitt, sostiene con nettezza in "Le categorie del politico" che «sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». In un brano successivo, il filosofo tedesco spiega che si tratta di una «condizione estrema»- il classico esempio è quello dello stato di guerra - in forza della quale diviene legittima la sospensione di una parte dell'ordinamento giuridico. A tal proposito, basterebbe sfogliare le pagine di un qualsiasi manuale di dottrina dello Stato per apprendere che l'impegno principale dei sostenitori della democrazia liberale negli ultimi due secoli sia sempre stato rivolto ad impedire che qualcuno, in assenza di condizioni estreme, potesse «decidere dello stato di eccezione, avocando a sé poteri straordinari». Ogniqualvolta è accaduto il sistema democratico è andato velocemente in frantumi.
Ebbene, il capo del Governo, attraverso lo stato di emergenza dichiarato la scorsa primavera e premendo per la sua conferma fino al prossimo 31 gennaio si è di fatto «autoproclamato sovrano, pur non avendo alcun titolo per farlo». Tutto ciò nel disprezzo di norme costituzionali precise a partire dall'articolo 77 della Carta in cui si precisa che «quando in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». La qual cosa rimanda a uno dei principi centrali della democrazia rappresentativa, laddove si definisce che «la rappresentanza della nazione risiede nel Parlamento e che esso è l'unico organo competente in ordine alla funzione legislativa». Il Covid-19 sta mettendo a dura prova tutti i Paesi di democrazia liberale (va da sé che le considerazioni da fare sui comportamenti degli Stati autoritari siano di tutt' altro genere), ma in nessuno di essi si registrano forzature istituzionali simili a quelle che stiamo vivendo in Italia da ormai molti mesi. Eppure, come non si stanca di ripetere il giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese, il nostro ordinamento contiene già ampi ed efficaci strumenti giuridici con i quali è possibile affrontare l'eccezionalità pandemica. Perché si evita accuratamente di ricorrervi? La speranza è che una tale domanda se la stiano ponendo anche dalle parti del Colle più alto.