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Gregoretti, Matteo Salvini a Catania? Qualcosa che contro i magistrati non si era mai visto: il commento di Filippo Facci

Filippo Facci
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Se giornalisti e giudici montano il loro circo, Matteo Salvini si porta dietro il suo. A Catania sarà circo mediatico-giudiziario versus circo mediatico-politico, parte di una «trasformazione» della giustizia e della politica che nessuno ha mai codificato, insomma non si era mai vista e tempo addietro sarebbe stata inimmaginabile: tuttavia c'è, arrendiamoci, è un pezzo di contemporaneo e poco importa se pur sempre di circo si tratta, poco importa se una parte degli addetti ai lavori e ovviamente del pubblico - politici, magistrati, giornalisti, loro rispettivi tifosi - fingono d'ignorare come ci siamo arrivati, di non conoscere la storia che ci ha portato a un confine dove molti non riconoscono più la giustizia né la politica.

 

 

Il primo circo, quello mediatico-giudiziario, lo conoscevamo già: si è affacciato sin dagli anni Novanta e via via è cresciuto, dapprima scandalosamente illegale, ora normalmente illegale, mai davvero normato, anche se la giurisprudenza (che è parte in causa) spesso gli ha dato una mano e ha tolto sostanziale significato a espressioni care al Nuovo Codice: segreto istruttorio, terzietà del giudice, parità giuridica delle parti, competenza territoriale e molto altro. Gli atti vengono depositati direttamente in edicola (nel 1992 fu una battuta dell'avvocato Raffaele Della Valle, oggi è l'assoluta normalità) e i legali arrancano con l'aria da sconfitti in partenza, incapaci di trasformarsi a loro volta, di fare davvero lobby. Il circo mediatico-giudiziario ha consolidato carriere, fatto nascere giornali, reso ufficiosa la discrezionalità dell'azione penale e l'importanza di un caso famoso rispetto alla banalità di un caso normale.

DIBATTITI
Di contro, il circo mediatico-politico di Matteo Salvini non l'avevamo mai visto, non così: ricordiamo le intemerate craxiane, ristrette nei rispettivi luoghi di competenza (tipo in Parlamento) e rammentiamo i tentativi berlusconiani di difendersi anche nelle piazze, su qualche libro o giornale, luoghi della vecchia politica e vecchia comunicazione. Salvini fa un'altra cosa. Salvini raddoppia il circo mediatico ma al giudiziario sostituisce il politico: e proprio a Catania trasferisce tre giorni di dibattiti e confronti da qui a sabato, tanto che il comizio finale non è ancora ben chiaro se sarà in piazza o in tribunale. Salvini si porta dietro deputati, senatori, giornalisti, cameramen, fotoreporter, uomini di cultura, imprenditori e discussioni su tutto (infrastrutture, ambiente, immigrazione, cultura, turismo, ovviamente Covid-19, e poi governo Conte, rapporto nord-sud) ma ufficialmente non si parlerà mai di giustizia. Non se ne parlerà (forse la trovata è questa) e però non si parlerà d'altro: perché l'hashtag salviniano sarà #processateancheme, perché il dibattito sulle infrastrutture e sul ponte sullo Stretto è titolato «Gli italiani scelgono la libertà», perché intanto la Giustizia (questa giustizia) a Catania ha blindato il tribunale, ha sospeso quasi tutte le udienze degli altri processi, ha chiuso gli uffici al pubblico e ai giornalisti non strettamente accreditati, ha vietato il parcheggio nel piazzale anche ad avvocati e magistrati, ha inibito il traffico dalle 6.00 alle 14.00 in tutte le strade attorno al Palazzo, ha proibito anche la sosta, pena rimozione forzata: che succede a Catania? Niente, c'è il circo. Anzi, ce ne sono due.

ESPLICITI CONSENSI
Del primo sappiamo quasi tutto, anche se sabato, in tribunale, non accadrà praticamente nulla: siamo alle schermaglie preliminari; all'aeroporto ieri mattina avevano appeso lo striscione «Leghisti not welcome» apparso su iniziativa della rete «Mai con Salvini» che ha preannunciato contro-manifestazioni tipo «flash-mob» che però sanno un po' di bluff. Il secondo circo è la vera novità, e il bello è che, per palesarsi, il circo di Salvini non ha bisogno di forzare nessuna legge ma solo le consuetudini di una politica che - piaccia o no - cambia e si adegua. Ma, da una parte o dall'altra, è sempre circo: e, al circo, si applaude o si fischia, pagliacci e bestie e acrobati non mancano mai, lo spettacolo continuerebbe anche se dovesse andare in scena il processo più assurdo, già demolito anche da tanti avversari di Salvini: un processo a un uomo (solo) per l'azione politica di tutto un governo. Fuori dal circo, senza biglietto, poteva stupirsi solo un candido come Giovanni Tria, l'ex ministro dell'Economia del governo gialloverde, che l'ha già detto da tempo: «Per quel governo, l'azione di Salvini era interesse pubblico. L'informazione stava sui giornali, chi non era d'accordo poteva esprimersi: ma non mi ricordo che qualcuno si sia espresso La responsabilità è ovviamente collegiale, e tirarsene fuori dopo non è elegante». Per dirla male: se un ministro agisce pubblicamente, e a nome di un governo, ogni responsabilità sarà dunque del governo di cui lui fa parte. Non si parla, qui, di reati di sangue o di azioni cogitate di nascosto, isolate, private, ma di atti e di azioni - quelle di Salvini - sospinte da espliciti consensi all'interno della maggioranza. Quindi il suo era un atto condiviso, come peraltro dimostrano le ordinarie concertazioni e i carteggi di Salvini col capo del governo e il ministro della Difesa. Del resto, se davvero fosse stata solo un'iniziativa personale, una responsabilità singola di Salvini, il premier Giuseppe Conte e la sua maggioranza avrebbero potuto fermarla o chiedere le dimissioni di un ministro che era il loro. Invece abbiamo un solo ex ministro (non un governo) accusato di sequestro di persona per aver trattenuto dei migranti a bordo di una nave, abbiamo un solo ex ministro che dovrà affrontare ben due processi per sequestro di persona.

TUTELARE I PM
Che l'azione di un governo sia collegiale, nel ragionamento della Procura di Agrigento, è un dettaglio politico-giuridico che è stato neppure sfiorato, ipotizzato; il dubbio che altri potessero essere iscritti nel registro degli indagati - diciamo così, in concorso - semplicemente non è esistito, e questo nel Paese del reati associativi per eccellenza, contestati di continuo - per molto meno - anche solo per il cosiddetto «concorso morale» ex articolo 110 del codice penale. Ma questi sono discorsi astrusi, non da circo. E neppure, pare, da Parlamento: nessuno nell'Emiciclo ha ritenuto di dover entrare nel merito delle imputazioni, nessuno si è chiesto se in Sicilia ci fosse una procura, per caso, motivata da finalità ad personam. Non se l'è chiesto nessuno, forse, perché avevano già letto l'intercettazione in cui l'ex magistrato più potente d'Italia, Luca Palamara diceva così: «Salvini ha ragione sull'immigrazione, ma dobbiamo attaccarlo. Salvini sull'immigrazione ha la gente con sé, dobbiamo fermarlo. Salvini è una merda». Poi Palamara è andato in una tribuna del circo mediatico («Non è l'Arena» su La7) e ha detto che la frase era «decontestualizzata, volevamo tutelare il pm che indagava». In Italia c'è il problema di tutelare i pubblici ministeri.

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