Paolo Becchi, l'analisi del voto: regioni a destra, governo di sinistra. Un caso italiano
Molti pensavano che il centrodestra vincesse in almeno quattro regioni su sei e invece finisce in pareggio, 3 a 3. Il dato di fatto saliente sul quale riflettere è però il seguente : rispetto al 2015, la coalizione di centrodestra passa complessivamente da 3 a 15 regioni, infatti da oggi il quadro politico regionale è di 15 regioni al centrodestra e 5 al centrosinistra. Nessuno ricorda questo particolare.
Rispetto ai nastri di partenza la coalizione di centrodestra strappa una regione al centrosinistra, le Marche, regione rossa da oltre venticinque anni e dove la Lega si piazza sul podio come primo partito della coalizione con oltre il 22% dei voti. Primo partito regionale è il Pd (25,1%), che in undici mesi perde però la seconda regione rossa dopo l’Umbria. Rispetto alle politiche la Lega conquista cinque punti, mentre il Pd ne perde quattro. Debacle del M5S, che dal 35% di due anni fa passa al 9% scarso. Italia Viva ferma poco sopra il 3%, del tutto irrilevante.
La Toscana, invece, resta al centrosinistra, ma per la prima volta la coalizione di centrodestra supera il 40% dei consensi. Tuttavia il Pd si conferma primo partito della Regione con oltre il 34%, Lega primo partito della coalizione con quasi il 22% dei consensi. Rispetto alle politiche la Lega guadagna cinque punti, ma ne perde circa nove rispetto alle europee. Il M5S si ferma intorno al 7%, perdendo diciassette punti al cospetto delle politiche. Rispetto alle europee perdono sia Lega che 5Stelle, anche se il partito di Salvini mantiene la posizione. Il dato politico saliente è l’irrilevanza di Italia Viva, che col suo 4,48% non è decisiva per la vittoria di Giani, che supera Ceccardi di otto punti. Renzi non raggiunge in casa sua nemmeno la soglia di sbarramento dell’eventuale Brescellum.
Puglia. Vice a sorpresa Michele Emiliano, col candidato di centrodestra - il meloniano Raffaele Fitto - distanziato di sette punti percentuali. Emiliano è riuscito ad unire la Regione attorno al suo nome, trafiggendo non solo Fitto, ma anche la pentastellata Laricchia, ferma poco sopra l’11%, e il renziano Scalfarotto, disceso nella Daunia per far perdere l’orso barese ma che se ne torna a casa con un irrilevante 1,6%. La Lega in Puglia non sfonda, è intorno al 10%, sotto Fratelli d’Italia (12,63%) ma sopra Forza Italia (8,92%). Il partito di Salvini guadagna più di tre punti rispetto alle politiche 2018 ma ne perde circa quindici rispetto alle europee dello scorso anno. Il M5S crolla dal 45% delle politiche ad un misero 9,85% di domenica e lunedì. Primo partito il Pd, che si attesta al 17,25%, in linea coi dati precedenti.
Campania. Qui De Luca è il nuovo feudatario, con quasi il 70% dei consensi, oltre cinquanta punti percentuali sopra il candidato di centrodestra Caldoro, sotto il 20%. Il dato di fatto saliente è che scompare il M5S nella terra di Di Maio, dove nel 2018 aveva fatto cappotto. I pentastellati ottengono infatti intorno al 10%, una debacle politica per il Ministro degli Esteri che in casa sua perde circa trenta punti in soli due anni. La Lega ottiene il 5,63%, quasi tre punti in più rispetto alle politiche e tredici in meno rispetto alle europee. Non stanno meglio gli alleati di Salvini, tutti poco sotto il 6%. Anche in Campania primo partito è il Pd, che conferma i dati degli anni precedenti.
Liguria. Qui Toti si conferma con oltre il 56% dei voti, con una particolarità. Non è la Lega il primo partito della Regione, pur ottenendo poco più del 17% (in linea con le politiche), ma la lista civica del presidente, “Cambiamo con Toti”, che ottiene un ottimo 22,6%. Questa è la terra di Grillo, ma il M5S - alleato col centrosinistra - sparisce dai radar e si attesta ad un misero 7,8%, sedici punti in meno rispetto a due anni fa. Se anche non vi fosse stata la “secessione” di Alice Salvatore, ferma sotto l’1%, il risultato sarebbe stato ugualmente deludente.
Veneto. L’esito elettorale non era mai stato in discussione, infatti il governatore uscente Luca Zaia sbaraglia tutti con quasi il 77% dei voti, un plebiscito mai visto da nessuna parte in cinquant’anni di elezioni regionali. Qui la partita era tutta interna alla Lega, dove la lista del presidente ottiene quasi il 45% dei voti mentre il Carroccio quasi il 17%. In realtà è una questione di lana caprina, visto che la lista Zaia è piena zeppa di salviniani. Il governatore ha voluto blindare la sua squadra in vista di altri cinque anni di amministrazione regionale. Se si fosse votato per le politiche, probabilmente la lista della Lega avrebbe ottenuto non meno del 60% dei voti.
Infine la Valle d’Aosta, che non elegge direttamente il presidente ma il consiglio regionale, dove la Lega diventa il primo partito (con circa il 30% dei voti, tredici punti in più rispetto alle ultime elezioni) e strappa il primato a Union Valdôtaine, per decenni alleati del Pd. In vista delle politiche quel collegio uninominale valdostano, tanto alla Camera quanto al Senato, può essere importante. Salvini ha puntato molto sulla Toscana e non è riuscito nella storica impresa e al Sud la Lega stenta a radicarsi. Per il progetto di una Lega nazionale questo è un problema su cui Salvini dovrà riflettere. Ora però si apre una partita interna al governo: Zingaretti ottiene un buon risultato, superiore alle aspettative, a scapito del M5S che perde dappertutto, e può chiedere il MES e una legge elettorale proporzionale. Insomma, chi parla di un voto che dà maggiore stabilità al governo a nostro avviso sbaglia. Le lacerazioni interne sono destinate ad aumentare.
di Paolo Becchi e Giuseppe Palma