Vittorio Feltri e le ragazze brutte, la confessione: "Il mio debole per le donne racchie"
Non faccio per vantarmi, ma di brutte me ne intendo. Credo che tutti gli uomini si siano macchiati la fedina amorosa almeno con una Fosca, più o meno segretamente; ebbene, io ne ho avute tre o quattro, e pubblicamente, poi ho smesso di contarle. Se c'è in giro una racchia, posso stare tranquillo: sarà mia. Senza sforzo. Né mio, né suo. Personalmente mi rassegno come davanti a una calamità naturale cui non vale la pena d'opporsi. Di solito mi siedo e aspetto la consumazione degli eventi, ma talvolta, come un condannato desideroso d'espiare in fretta la pena, prendo io l'iniziativa e m' avvio al patibolo. Il boia va agevolato per reciproco interesse. A parte gli scherzi, il mondo è pieno di gente normalmente brutta, basta guardarsi attorno. Le donne belle, belle sul serio, quelle che proprio ti fanno trasalire eccetera, non sono a nostra portata di mano: o sono di un altro, o sono su Playboy o sullo schermo del cinema, oppure non so dove, mai comunque nei dintorni. Comprendo perfettamente che, questi, non sono pensieri carini, e me ne scuso con le fidanzate passate e future, ma è inutile fingere ancora. E salutiamo con soddisfazione questo film liberatorio, Passione d'amore, che al di là delle forzature sempre consentite nelle sintesi artistiche, rende la realtà così com' è e come la viviamo: brutta, bruttina, raramente sufficiente a seconda delle alterne vicende della fortuna. Un film, di per sé, sarebbe ben poca cosa, senonché, nella fattispecie, è un segno che (sia pure oltre cento anni dopo il romanzo di Tarchetti, cui la pellicola s' ispira) il senso comune è cambiato o sta cambiando.
La bruttezza, poiché esiste ed è sicuramente più diffusa del suo contrario, viene finalmente celebrata per ciò che vale: un elemento con il quale l'umanità ha rapporti familiari. Anche le persone più gradevoli sono spesso orrende, almeno una volta al giorno. E allora perché insistere con la presentazione agiografica dei personaggi, femminili specialmente, implicati nelle vicende cinematografiche? Non è forse più giusto dire racchia alla racchia e racchio al racchio? D'accordo che l'arte può essere sublimazione, ma c'è modo e modo di sublimare; dovendo rappresentare una "signora così così" ci sono tre alternative: crearla a sua immagine e somiglianza, esagerare in positivo o in negativo. Quest' ultima soluzione è indubbiamente la migliore perché, se è vero che l'orrido mal si concilia con le aspettative del pubblico, che ama identificarsi con splendidi eroi, è altrettanto vero che un confronto fra brutti è fortemente consolatorio per le parti in causa. L'esaltazione del brutto fa bene alla salute, giova all'igiene mentale, mette al riparo dalle recrudescenze nevrotiche, è incoraggiante: mal comune mezzo gaudio, si dice, e noi sappiamo quanta saggezza vi sia in queste quattro parole lise. Adesso siamo agli inizi, ma quando il concetto di "bruttezza uguale a tutti noi" avrà preso piede, allora - scusate il bisticcio - ne vedremo delle belle: pensate che sollievo, e mi riferisco specialmente alle donne, non dover più, la mattina, litigare con lo specchio delle nostre brame; basta con le righe nere sugli occhi, basta col rossetto, basta con gli estenuanti e patetici sforzi di assomigliare a Ornella Muti. La quale, poi, con rispetto parlando, dal vero non sarà così "inumana" come al cinema; magari ha la gastrite o il raffreddore da fieno o chissà quali affezioni dello stesso tipo che rendono repellenti, a tratti, le nostre fidanzate. D'altra parte il processo d'accettazione del brutto, ovvero di noi medesimi, è in atto da parecchio con alti e bassi: il cinema del dopoguerra accanto a Silvana Pampanini e Gina Lollobrigida offriva Anna Magnani che delle tre è la più rimpianta, e non certo per questioni connesse all'eros. E la Masina è stata forse una vamp? Eppure, quando recentemente la Tv ha replicato La Strada, l'indice di gradimento è "impazzito". Perché la qualità non sposa necessariamente seni turgidi e prorompenti, vita sottile e glutei marmorei. Al cinema come nel quotidiano. Il guaio però è la moda, creatrice di miti effimeri e durevoli ad un tempo: miti edificati sullo stato di grazia delle cellule esterne. Un anno vanno le prosperose, un altro le secche, e poi le cavallone e poi le oche mimetizzate da cigni. Quindi, esaurito il ciclo, si ricomincia da capo, come se l'umanità per piacersi potesse modellarsi secondo i capricci del momento. E non ci rendiamo conto che il nostro senso estetico quando viene mandato all'ammasso, ne esce frustrato, avvilito. Il gusto invece, se educato in proprio, rivela una sorprendente adattabilità alle situazioni: sa trovare l'ago più bello anche nel pagliaio più brutto. Per esempio una volta avevo una collega con una piccola ma inconfondibile gobba; faceva impressione. Ma a forza di starle accanto mi persuasi che quella gobbetta, su quella schiena e sotto quella testa, in fondo era un quid irresistibile. La corteggiai, ammetto. Ma non vi dico come è andata a finire.