Paola De Micheli e la sparata sullo Stretto, Filippo Facci: "Follie di fine estate"
Quando sarà pronto il ponte sullo Stretto, avranno già inventato il teletrasporto: forse non è una gran battuta, ma se a farla è il presidente del tuo partito (Matteo Orfini, presidente del Partito democratico) è un po' più preoccupante, e forse significa che dalle parti del governo aleggia ancora un sussulto di realismo. Tutto nasce da una dichiarazione resa alla Rai e ripresa dalla simpatica ministra Paola De Micheli in un tweet finito al centro di ironia social e non solo: le infrastrutture per il Sud accendono la fantasia e dopo il tunnel sotto lo Stretto di Messina - già evocato dal viceministro Annamaria Cancelleri come la soluzione ideale, e sposato dal premier Giuseppe Conte - è la volta della simpatica ministra ai trasporti De Micheli: ora si è spinta a parlare di «pista ciclabile tra la Sicilia e la Calabria», veramente un'ottima idea. Testuale: «Abbiamo istituito una commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile. L'opera che verrà deve essere sicura ed economicamente sostenibile».
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CHIUSO UN CICLO
Pensavamo che potessero farla insicura ed economicamente insostenibile, ma è il dettaglio della pista ciclabile a eccitare tutti. Non solo gli elettori del Pd: anche i dirigenti. Come il ministro del Sud Giuseppe Provenzano, che si lascia andare: «Ci saranno le piste ciclabili e arriverà anche il monopattino, spero che nessuno proponga la funivia o la catapulta». A questo aggiungere anche ironie nostre serve a zero. Il ciclo è già chiuso. A noi basta ricordare che in realtà non hanno ancora finito la Salerno Reggio-Calabria: a 4 anni dalla sua fantomatica inaugurazione, l'allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni proclamò «dopo 55 anni l'abbiamo completata», ma l'autostrada è oggetto di tanti di quegli interventi (travestiti da manutenzione) che per capillarità e carattere organico risuonano piuttosto come il prosieguo dell'opera. Tornando al ponte (o al tunnel) che problema c'è? Una commissione in Italia non si nega a nessuno, a meno che serva davvero (la negarono sui finanziamenti illeciti e sull'eutanasia effettivamente praticata) mentre, per il resto, il ponte sullo Stretto di Messina ha fatto ammucchiare circa due quintali di documenti, ha fatto spendere centinaia di milioni di euro in studi e progettazioni (160 milioni sino a una quindicina di anni fa) ed è stato promesso da Mussolini, Craxi, Prodi, Di Pietro, Berlusconi e ora questi altri; se ne sono occupati circa 37 governi e 241 ministri in diciassette legislature, che problema c'è, quindi, se ora si vaneggia ancora aggiungendoci la psicosi delle piste ciclabili? Ci sta. I soldi del recovery fund riaccendono gli animi e ricicciano proposte napoleoniche o anche solo quella dell'ingegner Giovanni Saccà nel 2017, fan del progetto sottomarino. Insomma, il diritto di sparare cazzate sul ponte di Messina, in Italia, è quasi un diritto costituzionale.
LE GIRAVOLTE DI DI PIETRO
Era un sognante progetto berlusconiano dal 1994, ma questo non impedì ad Antonio Di Pietro di portarlo tranquillamente in consiglio dei ministri già il 26 luglio 1996, quand'era ai Lavori pubblici col governo Prodi. Lo aveva anche inserito tra le opere urgenti: poi era finita com' era finita. Nel 2001 tornò al governo il Cavaliere, ma ecco che il neo Di Pietro «de sinistra» mutò angolazione: «È un'opera mussoliniana per poter dire ai posteri "quello l'ho fatto io", è una cattedrale di San Silvio». E definiva l'opera «non prioritaria». Cinque anni dopo, però, nel 2006, cambiò di nuovo idea: il 28 giugno, per esempio, auspicò «una soluzione condivisa che non porti al ponte sullo Stretto né a una penalizzazione estrema». Cioè? Mezzo ponte? Non fu chiaro. Sta di fatto che, da ministro, il 4 luglio incontrò i rappresentanti della società Ponte sullo Stretto e ne discusse con loro. Era la stessa società che Pds e Verdi avevano già chiesto di chiudere, anche perché in dodici anni aveva speso incredibili quantità di soldi: tuttavia quel governo di sinistra dispose un ulteriore finanziamento di circa 25 milioni di euro. Il governo si tenne il Ponte, o meglio la società. Ai tempi, nel citare il Ponte, il programma dell'Unione si riproponeva «di sospendere l'iter procedurale in atto per realizzarlo» ritenendolo «inutile e velleitario». Ma non sospesero nulla. Poi, a metà maggio 2009, nel pieno della campagna per le elezioni europee, proclamarono: «Berlusconi rinunci alla realizzazione dell'inutile ponte di Messina in Sicilia, in Calabria e in tutta Italia ci sono emergenze più importanti del ponte Emergenze come quella idrica, dell'occupazione, ambientale, delle energie rinnovabili». Chi lo disse? La sinistra, che citò anche la classica «cattedrale del deserto». A ogni modo, con decreto del 2013, era finalmente giunta la messa in liquidazione per la società Ponte sullo Stretto di Messina: questo almeno assicurò il ministro Maurizio Lupi. Il problema è che si aprì un duraturo contenzioso perché la società attendeva un risarcimento. E lo attendeva anche Impregilo, che si era aggiudicata un sacco di appalti prima che il governo Monti mettesse in liquidazione la società. Non c'è, ma il Ponte o il tunnel è già costato e costerà salatissimo.