Renato Farina su Lucia Azzolina: "La scuola a rotelle diventerà solo una carretta"
Primo guaio. Prima scadenza annunciata e tradita. Dopodomani, martedì, è in calendario la partenza dei corsi di recupero. Peccato che nessuna famiglia abbia avuto notizie. Che si fa? Si va o non si va a cercare di rimediare ai debiti scolastici? Il governo fa sapere che i corsi si faranno. Quando-quando-quando, come cantava Toni Renis, però non si sa. E il 14 settembre inizieranno davvero le scuole di ogni ordine e grado, con i bus pieni all'80 per cento, le mascherine (forse sì forse no), e gli insegnanti strappati al loro nido domestico per salire in cattedra? Tre Regioni come minimo hanno spostato più in là. Sicilia, Sardegna e Campania forse saranno pronte una settimana dopo.
Ma l'incertezza domina, al di là di affermazioni tanto perentorie quanto fragili, stante la congerie di problemi irrisolti, sul futuro prossimo di 8 milioni e mezzo tra bambinetti delle scuole materne e diciottenni delle superiori che dovrebbero affollare i 41mila istituti scolastici. Quanti sono pronti? E i bus per caricarli e portarli in aula, magari a turni? Mancano 20mila tra pullman e pulmini In Lombardia, per dire un caso solo, c'è carenza di 25mila prof. In teoria sarebbero stati assunti nei giorni scorsi 80mila insegnanti, in pratica però se ne materializzeranno meno della metà. E i banchi? Milioni di banchi portati da bastimenti sono dispersi nell'alto mare dei sogni. Ah le rotelle, quanti saranno con le rotelle? Quante rotelle per banco? Quattro oppure otto nei modelli più sicuri? Questa scuola con le rotelle è proprio una carretta, come il Gamba de legn (in italiano "Gamba di legno"), il mitico tranvai che sbuffando su ruote e rotelline congiungeva Milano, Monza e la Brianza. Magari strideva sulle rotaie, ma arrivava. Questi qua invece? Boh.
FALSO BERSAGLIO
Un attimo però. Guardare la scuola di oggi, facendo la faccia tragica, come se fosse un fiorellino meraviglioso strappato da terra dal mostro Lucia Azzolina in combutta con il Covid, non ci riesce. Sarebbe un esercizio disonesto. Esigerebbe uno sforzo di volontà che teniamo in serbo per la salute. È infatti impossibile, anche per chi non ha alcuna stima del governo giallorosso, ritenere che il disastro che si annuncia da ogni parte sia causato dai due nuovi venuti, il Corona e la comare grillina, rispettivamente il virus e la virologa dilettante che si è messa a leggere e a dare ordini sulla base delle trovate contraddittorie degli scienziati che dovrebbero essere loro per primi a tornare a scuola, magari studiando l'umiltà. Non è l'associazione a delinquere tra Covid e la povera Lucia Mondella maltrattata dal Pd don Rodrigo la causa di tutti i mali. In realtà, da tutte le parti d'Europa ci si trova a mal partito con questa nuova bestia che si infila nelle aule.
Basti guardare alla Francia, che trema assai più di noi, e alla Germania, dove la Angela Merkel - che oltre ad essere una politica è stata una scienziata di rango - senza nascondersi dietro fragili ministri e scienziati isterici, ha preso lei le decisioni prima di aprire e poi di chiudere subito decine di scuole, a causa del proliferare del contagio. Dunque non facciamo i provinciali. I guai sono universali. L'errore è stato tenerle chiuse a maggio, quando Stati con dati peggiori di quelli italici hanno aperto le aule, anche solo per un mesetto, proprio per capire come ci si sarebbe dovuti comportare per l'avvenire. Un esperimento indispensabile a basso rischio, essendo allora la pandemia in ritirata, così da evitare prove alla cieca, come oggi tocca fare all'Italia. C'è un'altra differenza, persino più rilevante, coi sopra citati Paesi: la nostra scuola - tranne le elementari sia pure ormai rapidamente in declino, e forse i licei classici e gli istituti professionali purtroppo disertati dagli italiani poiché assicurano sì lavoro, ma pure sudore - è, se non proprio morta, almeno agonica da trent' anni. In particolare le regioni meridionali, applicando criteri standard per tutti i Paesi dell'Ocse (gli Stati occidentali), risultano in fondo alla classifica, vere e proprie aree desertificate non solo dal congiuntivo, come documentato da Di Maio e Conte, ma con frequenza spaventosa dalla stessa comprensione dell'italiano.
SOLO PROPAGANDA
Le prove nazionali INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) si fanno alla fine delle elementari e in terza media. Mentre al Nord gli scolari se la cavano, nel Mezzogiorno e nelle Isole il 35 per cento dei quattordicenni, infatti, non comprende il senso di un qualsiasi testo in italiano, con il record in Calabria dove l'incompetenza nel comprendonio sale a uno studente su due; in queste Regioni tra il 50 e il 60 per cento degli allievi non ha neppure gli strumenti della matematica ritenuti minimi in ogni parte del mondo. E questi sono gli ultimi dati possibili, quelli del 2019, prima della coppia diabolica Covid-Azzolina. Posso dirla tutta, e lo scrivo in prima persona, così da prendermi la responsabilità: il vero virus inestirpabile, essendo stato seminato e tuttora coltivato in serra nelle nostre scuole, non è il Covid ma l'ignoranza.
I dati dei contagi quotidiani sfiorano i 1.500, ed è prevedibile e ovvio che con una vita quotidiana ripresa con ogni precauzione, ma senza carcere domiciliare sia più facile spandere microbi malvagi, ma decisamente alla lunga a condurre alla morte civile ed economica sarà sicuramente l'erba grama e il deficit di formazione di base. Non ci piove. Da nonno preferisco rischiare di incontrare un nipotino che rischia magari di contagiarmi ma sa le tabelline e dove va l'"acca" prima della "a", rispetto a un discendente deficiente ma con la prospettiva di essere sano come una rapa e di non trasmettermi bacilli. I nostri nonni andavano a scuola sotto le bombe, e prima ancora con il colera in giro. Detto questo, messoci sullo stomaco il peso nefasto del periodo ante-pandemico, resta ridicola la presunzione del Comitato scientifico e del ministero sito in Trastevere, dove bivaccano soprattutto i tenutari dei sindacati scolastici, di tirare un respiro di sollievo grazie alla trovata dei banchi con le rotelle, e con la produzione di quantità mitologica di nuove attrezzature, presentati come talismani in grado di tenere lontano il virus.
Con un colpo propagandistico a cui è bello abboccare per tirarsi su il morale, si sono visti ai Tg i camion dell'esercito portare 500 banchi montati velocemente dal Genio ad Alzano Lombardo, a Nembro e a Codogno, gli epicentri lombardi delle bare portate via dai soldati, che oggi sono tornati con un carico di speranza. Viene bene. Siamo contenti di questa mossa simbolica. Ma essa è un massaggino alla nuca dei gonzi, per mascherare una assoluta inadeguatezza. Che però non è di oggi, è antica. (A parte, confesso la delusione di non aver scorto in quel filmato pionieristico le sospirate rotelle sotto i banchi. Sarebbe stato bene augurante vedere i genieri di Treviso cavalcarli allegramente. Per un attimo ho avuto il dubbio che le rotelle fossero fornite a parte da Amazon, e andassero montate dai genitori tutte le mattine prima di spingerli coi i figli accomodati sopra, dopo - ovvio - aver loro misurato la febbre. Poi abbiamo finalmente imparato che alle elementari i banchi non avranno le rotelle: peccato, proprio quando si è più simpaticamente sbarazzini, niente rotelle, chissà che invidia verso i fratelli maggiori. La pubertà d'ora in poi coinciderà con le rotelle, l'equivalente del testosterone in tempo di Covid).