Recovery Fund, Roberto Gualtieri e Nunzia Catalfo? Ministri da buttare: chiedono 30 miliardi alla Ue per non far lavorare l'Europa
Venti giorni dopo la chiusura dell'accordo sul Recovery Fund, i numeri di Giuseppe Conte già non tornano più. Serve ulteriore debito. La conferma arriva dalla lettera che il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri (Pd) e quello del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5S), hanno inviato ieri a Bruxelles per chiedere l'accesso al fondo Sure, lo strumento progettato dalla Commissione europea per difendere i posti di lavoro che la pandemia rischia di distruggere. La «cifra considerevole» che la Ue avrebbe messo a disposizione dell'Italia, aveva annunciato la stessa Catalfo, sarebbe stata di 20 miliardi di euro. Identica somma chiesta dalla Spagna nei giorni scorsi, e tanto sarebbe dovuto bastare. Non è così, purtroppo: la richiesta italiana ammonta a 28.492 milioni di euro, 8,5 miliardi in più del previsto. Soldi che nessuno ci regala, ovviamente: si tratta di un prestito rateale e temporaneo, che richiede garanzie immediate e dovrà essere restituito alla Ue quando l'emergenza sarà conclusa. Per giustificare una somma tanto elevata, Gualtieri e Catalfo, nella richiesta inviata al vice presidente della commissione Valdis Dombrovskis e ai commissari europei, scrivono che «l'economia italiana è stata gravemente colpita dalle misure di blocco introdotte dalla fine di febbraio, molto efficaci nel contenere la diffusione del virus, ma con un forte impatto negativo sull'economia e sul sistema sociale. Una situazione che terrà la produzione al di sotto dei livelli normali per un po' di tempo, con gravi rischi di disoccupazione».
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Il governo Conte, quindi, è costretto ad ammettere che i suoi provvedimenti hanno avuto un impatto devastante per il reddito e il lavoro. Di conseguenza, aggiungono i due ministri, lo stesso esecutivo ora «sta cercando di prolungare le misure di sostegno che scadranno alla fine del mese». Concludono chiedendo che l'erogazione avvenga il prima possibile: la rapida attivazione di Sure rappresenta «un esempio positivo di solidarietà tra gli Stati membri». Tanti soldi e subito, per farla breve. Quanto ai tempi, le prime emissioni di "bond" da parte della Ue sono previste per fine settembre, e quindi la prima rata del prestito dovrebbe arrivare entro il 2020. Sulla quantità, il regolamento stabilisce che i tre Paesi più aiutati dal fondo Sure non potranno ottenere, in tutto, più di 60 miliardi. Italia e Spagna arrivano insieme a 48,5 miliardi, lasciando così un massimo di 11,5 miliardi per il terzo richiedente. Ma siccome pochi smaniano per stringersi il cappio al collo, e a molti conviene indebitarsi in proprio senza passare da Bruxelles (è il caso di Germania, Francia, Olanda ed Austria), è probabile che la Ue ci dia quanto chiediamo, anche perché - appunto - non di quattrini a fondo perduto si tratta, bensì di prestiti, erogati dopo che l'Italia avrà versato la propria sostanziosa quota dei 25 miliardi di euro totali che serviranno come garanzia.
Il vantaggio per il Tesoro è rappresentato dai pochi decimali d'interesse che limerà facendo emettere i titoli di debito alla Ue anziché collocare altri Btp sul mercato. Per di più, essendo il prestito spalmato su diversi anni, l'effetto sarà irrisorio. Chi ha fatto qualche simulazione, come il pensatoio europeista Bruegel, calcola per l'Italia un risparmio di appena 360 milioni l'anno, per dieci anni, su un prestito da 20 miliardi; nel caso dei 28,5 miliardi richiesti, la somma sarebbe quindi pari a mezzo miliardo l'anno. Gocce nel mare del grande debito gonfiato da Conte. E lo spettro del fondo salva-Stati, con le sue «condizionalità», è sempre lì. Eppure Gualtieri coglie il pretesto per fare l'ennesimo panegirico alla Ue: «Con questo importante strumento, nel segno della solidarietà fra Stati europei», scrive su Twitter, «si proteggono i lavoratori e si attenua l'impatto della crisi Covid-19. L'Europa è più vicina che mai». Nessun accenno al fatto che si tratta di un semplice prestito, d'importo ridotto, da restituire in breve tempo. Meglio lasciare la parte spiacevole a chi verrà dopo di lui.