Verbali desecretati, Giuseppe Conte ha mentito agli italiani: Angelo Borrelli e Roberto Speranza complici
Sapeva ovviamente Angelo Borrelli, capo del Dipartimento della Protezione Civile, che ha ricevuto il verbale, e sapeva Roberto Speranza, ministro della Salute, cui Borrelli lo ha inoltrato. Parliamo di quel che è riportato nell'unico verbale riservato dei cinque del Comitato tecnico-scientifico governativo resi pubblici dalla Fondazione Luigi Einaudi. È il verbale della riunione dei componenti il Comitato risalente al 7 marzo 2020, e in quel verbale gli esperti incaricati dal Governo consigliano di prevedere «due "livelli" di misure di contenimento da applicarsi: a) l'uno, nei territori in cui si è osservata ad oggi maggiore diffusione del virus; b) l'altro, sull'intero territorio nazionale». Le sole «zone cui applicare misure di contenimento più rigorose rispetto a quelle da applicarsi nell'intero territorio nazionale» erano state individuate dai tecnici nella regione Lombardia e nelle province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova e Treviso, Alessandria e Asti.
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Due giorni dopo quelle misure sarebbero state invece applicate dal Governo all'intero territorio nazionale. L'8 marzo, con un DPCM, un decreto del Presidente del Consiglio, l'Italia è divisa in due aree: la Lombardia e 14 province fra piemontesi, venete, emiliano-romagnole e marchigiane sono soggette a ulteriori restrizioni. Sono sospese le cerimonie civili e religiose, per bar e ristoranti la chiusura è alle 18, niente piscine, palestre, centri benessere. Vietato spostarsi se non per ragioni di salute o di lavoro, o per altre necessità (da dimostrare). Il 9 marzo il premier annuncia un nuovo DPCM, pubblicato quel giorno stesso sulla Gazzetta Ufficiale: tutta l'Italia è ora zona protetta, ma Conte, nel parlare ai giornalisti, non dice nulla sul diverso parere espresso dal Comitato tecnico-scientifico. L'11 marzo, con un nuovo decreto, si chiudono bar, gelaterie, ristoranti, librerie, negozi di parrucchieri ed estetisti, e si sospende qualunque altra attività commerciale al dettaglio (con l'eccezione degli esercizi di generi alimentari e di vendita di beni di prima necessità). Anche in questo caso Conte non fa alcun cenno alla divergenza fra la sua linea e quella consigliata dal Comitato tecnico-scientifico. Il 20 marzo, con un'ordinanza del Ministero della Salute, viene vietato l'accesso alle ville e ai parchi, e vengono sospese le attività ludiche all'aperto.
Il giorno dopo, nell'ennesima sua dichiarazione, Giuseppe Conte esordisce così: «Buonasera a tutti, sin dall'inizio ho scelto la linea della trasparenza, la linea della condivisione». Mandiamole a memoria: «trasparenza» e «condivisione» sono parole ripetute da Conte, nei mesi dell'emergenza, come un mantra. Sempre assente un qualunque riferimento alle opinioni espresse dal Comitato tecnico-scientifico nel verbale del 7 marzo. Il 22 marzo si chiude tutto, anche le fabbriche (tranne quelle essenziali). Col DPCM di quel giorno non ci si può più spostare dal Comune nel quale si risiede.
Nella conferenza stampa di due giorni dopo, in cui annuncia un imminente decreto legge con cui si sarebbero regolamentati «più puntualmente, e in modo ancora più trasparente», i rapporti fra Governo e Parlamento nella fase d'emergenza, il premier dice: «Noi sin qui abbiamo sempre seguito (...) le indicazioni, raccomandazioni del Comitato tecnico-scientifico. Noi abbiamo sposato le loro indicazioni. (...) Abbiamo una linea, lo vorrei chiarire e confermare, di massimo rigore e di massima trasparenza. Gli italiani vivono, e sono così amanti delle loro libertà, della loro democrazia, dei presidi democratici, che secondo me sarebbe stato anche solo impensabile non abbracciare da subito la linea della trasparenza, della chiarezza». «Chiarezza», «condivisione», «trasparenza». Giuseppe Conte ha mentito a milioni di italiani, e se non chiarirà i motivi per i quali lo ha fatto, se a quei milioni di italiani non chiederà scusa, si dovrà dimettere.