Cerca
Logo
Cerca
+

Matteo Salvini, il piano per trascinare in tribunale Giuseppe Conte: la "vendetta" dopo Open Arms

Renato Farina
  • a
  • a
  • a

 «In quel tribunale ci vado a testa alta e con la schiena dritta». Matteo Salvini conclude così il suo discorso in Senato. Tono solenne, un filino retorico, da patriota milanese che ruba le parole ad Amatore Sciesa del «tirémm innanz» verso la forca. Per fortuna ci infila una citazione di Raffaella Carrà per non salire troppo su come «el Condor pasa» e stempera il tutto dicendo: «Non accetto aiutini». È la tarda mattinata, e i giochi sono fatti, per questo Salvini si è espresso al meglio. Una specie di discorso del condannato a morte, che però è innocente, non chiede la grazia a nessuno, ma sa che il popolo dopo la ghigliottina gli rincollerà la testa e gli metterà la corona. Intanto il cosiddetto Capitano oggi di sventura ha perso, ma è una strana sconfitta. È stato il miglior Salvini forse di sempre, di certo il più convincente da un anno e mezzo a questa parte. Lo hanno piazzato sul carretto dei reprobi, ma ha guadagnato vasti territori di credibilità politica e morale che verranno buoni quando il tribunale non sarò quello vestito di toghe ma di tute, giacchette, grembiuli: il popolo votante insomma. Sarà contento lui, e i suoi sostenitori fan bene a essere orgogliosi, ma che brutta Italia è quella che ci comanda. Intanto non è mica una grana da poco beccarsi un altro processo (è il secondo per il medesimo tipo di presunto crimine) per un reato che - essendoci di mezzo minorenni - prevede una pena fino a 15 anni di reclusione. Oseranno, stante la oscenità pacchiana dell'accusa? Con questi giudici tutto è possibile. Nelle chat intercettate di Luca Palamara, alcuni pm riferirono le stesse considerazioni giuridiche che in aula ieri Salvini ha fatto proprie: che il delitto è della Open Arms, «la nave pirata», che la legge è chiara e a favore del blocco di chi pretende il diritto di invasione: perciò incriminare il ministro dell'Interno è un'operazione disonesta di politica giudiziaria. 

L'altro Matteo, il Renzi da Rignano, poco prima del discorso del «ministro della malavita» (Roberto Saviano docet) aveva girato, a proposito di garantismo, il pollice verso il basso, come un Nerone logorroico, dopo che in giunta, nei mesi scorsi, i suoi avevano deciso altrimenti. Nessuna sorpresa. Renzi nei momenti decisivi non delude mai i forcaioli: gira tre volte la frittata, ma poi la serve come piace a Conte e a Bonafede, con i carciofini. Si chiama etica di circostanza. E così alle 18 e 17 la presidente Maria Alberti Casellati può leggere la sentenza: 149 senatori contro 141 ritengono che il «ministro dell'Interno pro tempore» impedendo lo sbarco di 160 migranti della Open Arms non si sia mosso per ragioni di governo e per preminente interesse pubblico, ma per scopi delittuosi. Renzi, con una strabiliante volgarità politica, cacciando il dito in un occhio alla maggioranza degli italiani preoccupati per la passata e presente ondata migratoria, indica il movente dell'anima criminale di Salvini: ha bloccato la nave «per aumentare il numero dei followers su Facebook». Renzi (scusate) mi è sempre stato simpatico, ma se fossi Salvini lo sfiderei a duello, almeno con la cerbottana. Tutta una tiritera per dire senza senso del ridicolo che non l'avrebbe mandato a processo se ci fosse stato in ballo l'art. 68 della Costituzione (immunità parlamentare) perché con quelle chat dei magistrati è evidente il fumus persecutionis. Siccome però a essere a tema era l'autorizzazione a procedere in base all'art. 96 che riguarda reati ministeriali, allora vada a processo. Come se l'art. 96 fosse un Alka Seltzer con il potere di far digerire al Parlamento sia il fumo sia la persecuzione. Che miseria. Oggi però occorre dar gloria a Salvini. La sua tesi? Il processo è politico, basato su odio ideologico. Infatti come dimostrano le carte e le testimonianze, se reato c'è - ma non esiste! - esso è stato opera di un'associazione a delinquere composta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli e da quella della Difesa Elisabetta Trenta. E allora perché i magistrati non hanno incriminato anche loro? Se il Senato è onesto ha due strade: deve ammettere che fu un atto politico dell'intero governo, e dunque rifiutare l'incriminazione di Salvini; altrimenti, rispedire indietro il malloppo accusatorio ai magistrati evidenziando il difetto originario e chiedendo l'incriminazione dell'intera masnada. Oppure Conte e gli altri membri grillini del governo al tempo erano incapaci di intendere e di volere come le signore e i signori della setta sexi-religiosa di Novara? Hanno scelto questa terza strada, evidentemente.

 

 

 

 Salvini avvisa che nei due processi a Palermo e a Catania avrà tempo di prendersi una granita con Conte. Se lo porta dietro. Lo chiama a correo. Non per gusto di delazione, ma perché la sua azione non è stata quella di un pazzo solitario, ma si è dispiegata sulla base di una legge votata dal Parlamento e resa operativa da un governo collegiale attraverso il ministro competente. Insomma il segretario del Carroccio vuole che se processo dev' essere sia un disvelamento degli intrighi che dopo pochi giorni hanno visto sventolare tra le mani di Conte un'altra bandiera, stavolta rossa. Altre due volte, prima di concludere, aveva detto: «tribunale» e «a testa alta». Se intendete vedere su Facebook o sul sito senato.it l'intervento di Salvini, dimenticate lo stile Instagram con l'esposizione filmata della polpetta e del ragù. Ci sono momenti e momenti. E sarà bene che anche Salvini e la sua macchina social detta "La Bestia" riflettano su un fatto: non è perché il Capitano si spalma la Nutella sul pane che la gente si riconosce in lui e lo vorrebbe premier. Ma per quello che ha detto ieri e per quel fremito che ci ha messo dentro e che comunica. È sempre lui, ovvio. Ma non è questo il tempo della commedia della colazione con la brioche. Ieri è stato uno di quei dieci minuti nella vita dove si cava fuori da dentro di sé la ragione profonda del proprio impegno politico. Un impegno che per esprimersi in parole e atti non esclude il trasferimento in tribunale, e da lì - alla malora! - persino in galera. Ecco il passaggio cardine: «Era evidente il fatto che si trattava non di un naufragio, ma di una voluta invasione di campo della nave pirata e di una voluta violazione della legge. Ma lo capisce anche un bambino di sei anni. Dico questo con la massima tranquillità: se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee e a difendere le sue idee fino in fondo, o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui. E io andrò fino in fondo, senza chiedere aiutini a nessuno». Applausi.

Dai blog