Renato Farina, elogi per medici, infermieri, ma per i camerieri nemmeno una parola: dimenticati da questa epidemia
Colmiamo una lacuna nel catalogo dei benemeriti di questo periodo infame: i camerieri (intendendo anche le cameriere). Vaste categorie di riconosciuti eroi hanno avuto l'inchino del popolo italiano sin dal primo insorgere della Pandemia. Secondo il costume tipico degli umani la gratitudine è durata un istante, poi ciascuno si è dedicato a rincorrere i suoi guai. Ma per qualche giorno sono stati additati al pubblico encomio da Conte e dalla Meloni, da maggioranza e opposizione, dal Papa e da chi gli vorrebbe far la festa, nell'ordine: medici, infermieri, fisioterapisti, operatori al centralino del 118 o sulle ambulanze, volontari della protezione civile, alpini, forze dell'ordine, sindaci senza paura, preti che correvano di notte dai moribondi venendone infettati, farmacisti, ricercatori precari, virologi impavidi (i primi tre giorni), cassiere dei supermercati, persino becchini e giornalisti. Il Presidente della Repubblica ha distribuito onorificenze arci-meritate ai campioni di coraggio di queste arti e mestieri.
Ai camerieri niente. onesti servitori Qui a nome di coloro che essi hanno servito e servono con dedizione, amore e mascherina perennemente incollata alla faccia sudata, proviamo a rimediare noi. Pensiamo ai camerieri dei bar e dei ristoranti, che sbucano da cucine infernali, attraversano sale ghiacciate dall'aria condizionata, ed escono sui marciapiedi reggendo sulle dieci dita sette piatti e tre fondine; alle signore e ai signori che da dietro il bancone tirano la cloche degli altiforni dove imbucano pizzette e delle macchine a vapore che distillano caffè e gonfiano di schiuma il latte del cappuccino. Non stiamo esagerando a dire che stanno facendo una vita da spalatori di carbone di Messer Satanasso, come gli asfaltisti delle autostrade: ma almeno questi disgraziati possono togliersi la canottiera, e se il principale è intelligente li impiega dopo il tramonto o prima dell'alba. I telecronisti hanno pietà dei calciatori, ne ricordano la fatica plebea del correre d'estate: ma ai pedatori gli arbitri concedono la pausa supplementare dopo mezzoretta, ed è fatica ricompensata in abbondanza. I camerieri di luglio invece trottano ad ostacoli tra le seggiole, con la bocca piena di stoffa a impedirgli il respiro, con la giacchetta e la camicia bianca da tenere pulite e senza chiazze di sudore. Cosa dire: bravi, proviamo se possibile ad esagerare se non nella mancia, ché siamo tutti taccagni, almeno evitando scontrosità. Da quando il blocco (che sarebbe la traduzione di lockdown) si è prima attenuato e poi è venuto meno non ho trovato un solo garçon de café, sommelier, maître (triplo francesismo) o un lavapiatti (italianismo) uscito per la sigaretta dalla caldaia, che si lamentasse delle complicazioni del mestiere causa sanificazioni o del fastidio di museruole inamovibili. A loro è sembrato un miracolo di resurrezione vederci tornare a essere assistiti dalla loro "ineffabil cortesia", come la chiamava Michelangelo.
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In televisione da anni è un rincorrersi di elogi, diplomi, trasmissioni televisivi dove gli eroi sono gli chef. Anche le interviste dedicate alle difficoltà di trattorie e ristoranti hanno avuto per interlocutori trepidanti per il futuro e imbufaliti con il governo chef e gestori. Giusto, hanno nome e facce note, e inducono a maggior attenzione il lettore e il politico. Ma i camerieri sono dimenticati. educata normalità Eppure sono uno di quelli, e siamo tanti, che nei bar chiediamo sì il caffè buono, e all'osteria la bistecca cotta a puntino, e ci mancherebbe, ma più della novità della spuma di zenzero e curcuma, godiamo dall'antica educazione di chi saluta con garbo. Più della cucina stellata ad aggiustarci non solo lo stomaco ma l'anima vale il sentirsi accolti come se aspettassero solo noi, senza confidenze indebite, ma con la normalità di una professione che somiglia a quella dell'attore sul palcoscenico, che lascia a casa i suoi problemi e cerca di far star bene il pubblico pagante. Per di più hanno l'ordine di vigilare sulla clientela, perché non si alzi dal tavolo per sgattaiolare alla toilette a viso nudo; oppure perché non sistemi sedie e tavolini a distanza ravvicinata. Oltre a servire gli spaghetti, gli tocca il secondo mestiere non pagato di commissari della sanità pubblica.
Una volta l'incombenza spettava ai ghisa adesso ai pinguini, dato che, di là del pericolo di infettare la clientela, arrivano le multe: e non le paga il cliente ma il locale, che per di più viene chiuso per cinque giorni e si becca la fama di santuario degli untori. Per questo dovere ingrato, si beccano rimostranze e contumelie da noialtri quasi fossero emissari del ministro Speranza e del virologo Fauci in persona, ma loro incassano senza scaldarsi, anche perché di più è impossibile. Nelle località di villeggiatura, arrivano da fuori mano, assunti stagionalmente sono stati costretti fino a poche settimane fa ad arrangiarsi prosciugando i risparmi. Mai vista gente così contenta di lavorare, si tengono stretto il grembiule ma anche la mascherina. Chi può vada in pizzeria, al bar, al ristorante. Faccia girare un po' di euro da quelle parti. Il consumo muove l'economia. La consumazione migliora la vita a chi è servito e a chi serve. Viva i camerieri. (A proposito. È stato Gianni Agnelli a dire: «Solo le cameriere si innamorano. È una cosa da riviste di terz' ordine». Viva anche le cameriere).