Recovery Fund, Pietro Senaldi: casse vuote almeno fino al prossimo anno. In arrivo altre tasse
Tre giorni fa il governo stappava champagne. Si festeggiava il permesso dell'Europa di indebitarci di altri 127 miliardi e portare il rosso dello Stato al 160%. Conte si dava di gomito con chiunque gli capitasse a tiro e il paffuto ministro Gualtieri gigionava in tv come neanche Berlusconi dopo aver vinto una Coppa Campioni. Secondo la narrazione del governo tutti i problemi dell'Italia erano finiti nell'istante dello «Ya» congiunto di Merkel, Von der Leyen e Rutte al piano di salvataggio Ue per il Covid e chiunque osasse manifestare perplessità era accusato di essere un sovranista invidioso e rosicone. Da allora non è cambiato nulla nella realtà. I soldi non sono ancora arrivati, come si sapeva, il debito aumenterà mostruosamente, ma anche questo era nel conto, e l'Europa ha dato il suo sì definitivo al progetto.
Però a Palazzo Chigi e dintorni l'aria è tutta diversa. Il ministro dell'Economia ha detto che le casse dello Stato sono vuote, e per questo non sono state rimandate le scadenze fiscali, malgrado milioni di contribuenti annaspino. Per provare a riempirle è stato approvato un ulteriore aumento del debito pubblico, di altri 25 miliardi; così, per tirare a campare in attesa dei fondi dell'Europa, i quali arriveranno, se tutto andrà bene e se entro il 15 ottobre saremo riusciti a predisporre un piano d'investimenti credibili, tra un annetto.
BRACCIO DI FERRO
L'aumento del rosso sulla carta però non basta. È come fare l'elenco della spesa, impone un prelievo ma non riempie lo stomaco, anzi aumenta l'appetito. Per questo il Pd insiste per accettare i 37 miliardi del Mes, soldi che l'Europa mette a disposizione a basso interesse ai Paesi colpiti dal Covid-19 perché li impieghino per uscire dall'emergenza pandemica con investimenti in sanità. Conte, per assecondare la sua stampella grillina, ha giurato che l'Italia non vi accederà, i Dem invece li ritengono indispensabili, ed è la sola cosa su cui vanno d'accordo con il loro ex segretario, Renzi. Indipendentemente da dove stiano le ragioni, l'argomento è divisivo e ha fatto evaporare il clima di festa.
L'impressione è che sia in corso un doppio braccio di ferro, tra i Dem e il premier e tra questo e i grillini. I soldi europei del Recovery Fund sono di là da venire ma già i partiti se li litigano, in una patetica danza di guerra intorno al nulla. Il più allarmato dallo spettacolo è Conte, che avverte odore di assalto alla diligenza e prova a difendere il bottino come può. L'escamotage sarebbe la nomina di una commissione di esperti, l'ennesima, tanto per far capire ai pochi che ancora non l'avessero inteso che di personalità tecnicamente all'altezza, all'interno del governo e del Parlamento, non ce n'è mezza. La cosa non va bene al Pd, che si illude di essere ancora un partito di professori e non già di mezze calzette, e punta ai quattrini del Mes per avere almeno qualcosa da spendere, secondo l'antica logica che il denaro è potere e si traduce in consenso. Ma i tecnici non vanno bene neppure ai grillini, che già sanno che a settembre, se come è prevedibile le Regionali gli andranno male, per restare al governo dovranno rinunciare ai ministri Azzolina e Bonafede, in rampa di bocciatura per manifesta inferiorità ed eccesso di polemiche e figuracce.
ALTRE TASSE?
Insomma, dopo la festa è già il tempo delle lacrime, che prima o poi dovremmo piangere noi sotto forma di patrimoniale o tasse di successione. Perché prima o poi i soldi del Recovery Fund arriveranno, e magari anche quelli del Mes, ma poiché il governo li spenderà in assistenza, mance ed economia sussidiata, essi sono inesorabilmente destinati a non bastare e a finire presto, come le nostre speranze di risollevarci. Finché non ci libereremo dei giallorossi, che puntano su nazionalizzazioni, redditi di cittadinanza e lavoro da così remoto che neppure lo si vede, l'economia non ripartirà. Conte e compagni si comportano con l'Europa come i percettori del reddito di cittadinanza con lo Stato italiano. Battono cassa pensando che il filone d'oro non si esaurisca mai e ignorano il concetto che, per creare ricchezza, occorre puntare su lavoro, imprese, concorrenza e liberalismo.
Altrimenti ogni tre mesi avremo un ministro che fino al giorno prima giurava di aver sconfitto la povertà o di aver piegato l'Europa come Napoleone ad Austerlitz, salvo dire l'indomani che ha le tasche vuote e chiederci se abbiamo moneta per consentirgli di salire sul tram che lo porterà alla stazione successiva, sempre più vicina.