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Mario Giordano, la dichiarazione di guerra di Feltri: "E a noi che c*** ce ne frega?"

Mario Giordano
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Caro Vittorio, mi devi perdonare. Ma quando mi hai chiesto un piccolo contributo per questo anniversario di Libero a me è venuto in mente un episodio di molti anni fa, quando Libero non c'era ancora. Tu eri nella tua stanza di direttore del Giornale e io ero un giovane redattore appena assunto (da te, ovviamente, e in modo incredibile: sulla base di una lettera che ti aveva colpito e di un paio di articoli che ti avevano convinto). Entrai timidamente per proporti una delle mie inchieste da rompiballe quale ero e sono. Mi pare che si trattasse dei documenti esclusivi che raccontavano lo scandalo della Federconsorzi in cui tutti avevano mangiato allegramente. Tu leggevi alcune carte distrattamente e mi ascoltavi. Ricordo che io ti riassunsi il succo di quello che avrei avuto intenzione di scrivere e mi premurai di avvisarti che avremmo tirato in ballo un sacco di nomi importanti del belmondo politico e economico, di ogni colore e specie. «Faremo arrabbiare tanta gente», dissi con un filo di voce. Poi chinai la testa aspettando la tua reazione. Passò un secondo. Forse due al massimo. Tu tirasti su la testa dalle carte. Mi lanciasti un'occhiata tagliente. E una sola frase: «Se si arrabbiano, a noi che cazzo ce ne frega?». Quell'inchiesta finì stampata, ovviamente. Come tutte le altre che hai fatto e hai fatto fare tu. Senza riguardi per nessuno. E se oggi mi viene in mente quell'episodio di un'era geologica così lontana, è perché penso, caro Vittorio, che in quel «a noi che cazzo ce ne frega» ci sia l'essenza stessa di quello che tu instilli nei tuoi giornali e nei tuoi giornalisti.

 

 

LA MESSA DEI BRUBRU
Non vorrei sembrarti offensivo. O riduttivo. Per me è esattamente il contrario. È ciò che rende meraviglioso questo mestiere. Che lo rende davvero "libero", con la maiuscola e senza. Tu non ti sei preoccupato, quel giorno lontano, nel tuo ufficio, di chi avremmo favorito o danneggiato. Ti sei preoccupato soltanto che le cose che ti raccontavo fossero vere. Oggi diresti "fattuali", ma allora non usavi quell'espressione, forse perché Crozza non ti imitava ancora. E perciò quelle tue parole hanno continuato a risuonarmi in testa, ogni volta che dovevo prendere una decisione, ogni volta che dovevo fare una scelta, in ogni giornale dove sono andato, in ogni trasmissione che ho fatto. Non so se sono riuscito ad esserne sempre all'altezza. Ma ci ho provato. E non ho dimenticato. C'è un'altra cosa che ricordo e che ho ritrovato nell'animo di ogni giornale "libero" che tu hai diretto o fondato o comunque contribuito a fondare attraverso l'opera di chi è cresciuto al tuo fianco. Se non sbaglio tu sei stato uno dei pochi cronisti, o forse l'unico, fra coloro che seguirono il processo Tortora, a non farsi travolgere dall'onda giustizialista. Riuscisti a mantenere lucidità. A vedere le cose per come erano davvero e non per come volevano farle sembrare.

E ricordo che una volta mi raccontasti che, in quella circostanza, ti aveva salvato il tuo spirito solitario, anarchico, il bisogno quasi fisico di stare fuori dal solito gruppone dei giornalisti, che mandano il cervello all'ammasso e hanno come unica preoccupazione quella di non stonare dal coro. Ecco il punto: tu sei abituato da sempre a cantare fuori dal coro dei giornalisti, lo sei a tal punto che ora ti sei pure dimesso dall'Ordine, che ti vorrebbe ingabbiare e processare solo perché non partecipi alla messa cantata dei brubru. Tu alla messa cantata dei brubru non ci hai mai partecipato. E ci hai insegnato che stare lì, fuori dal coro (lo ripeto: fuori dal coro, lo sai che ho un debole per questa espressione) è un po' scomodo, talvolta faticoso, ci si sente spesso soli e magari si rischia di essere messi alla berlina. Però è l'unico modo per non essere seppelliti dentro la massa del belinamente corretto, della stupidità collettiva, dall'organica tendenza all'appiattimento verso il basso e alla inevitabile prevalenza del cretino. È, insomma, l'unico modo per essere davvero "liberi". E di conseguenza un po' meno idioti. Auguri di cuore a te e a tutta la tua banda. Con affetto e gratitudine. 

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