Il penalista Raffaele Della Valle sulla magistratura: "C'è una totale promiscuità, gli onesti tirino fuori le palle"
«Io sono cresciuto in tribunale, mio padre era magistrato. Per anni abbiamo abitato praticamente lì e ancora oggi è praticamente così: al di là di questa parete della sala riunioni del mio studio c'è la Procura di Monza. Siamo dirimpettai. Se penso a come si è ridotta la magistratura oggi, sono preoccupato per l'Italia, che manca di uomini tutti d'un pezzo, e mi dispiace per mio padre. Lui passava tutto il giorno a scrivere sentenze, nell'ombra, una vita di lavoro e sacrificio; quando si comprò una motocicletta, venne rimproverato dal presidente di tribunale. Oggi i magistrati per contare vanno in tv a fare i talk show, c'è una totale promiscuità, di carriere e di letti. Io ci credo ancora nell'istituzione, perché la maggior parte dei giudici è onesta e lavoratrice, ma adesso ogni volta che devo discutere con un giudice sono assalito dal dubbio: sarà indipendente?».
A 81 anni l'avvocato Raffaele Della Valle, uno dei più celebri penalisti d'Italia, l'eroe del caso Tortora, non molla. «Sono qui con due dei miei tre figli; studio famigliare, alla nostra maniera, perché l'avvocato è una scelta personale di fiducia, il cliente deve affidarsi a te, non a una sigla. E poi io voglio essere libero: se qualcosa non mi piace o non mi convince, se l'assistito si comporta male, mollo e chi si è visto si è visto. Nella vita ci vogliono le palle, e lo dico ai magistrati del Csm, che fanno le vergini dopo lo scoppio dello scandalo Palamara, che non si è inventato da solo. Se ti rendi conto che sei stato nominato con sistemi mafiosi, ti dimetti e ridiscutiamo tutto, non ti trinceri dietro la scusa che il presidente della Repubblica non scioglie il Consiglio Superiore della Magistratura, te ne vai tu».
Per grinta, e anche fisicamente, Della Valle dimostra vent' anni in meno. È innamorato della professione. «Mi piacerebbe scrivere un libro, ma ci vuole tempo, io sono sempre in giro. Aosta, Fano, la Sardegna, sono stato perfino nel Donbass. Morirò, solo, in una camera d'albergo, in trasferta per un'udienza». Una vita dedicata al diritto, «lavoro ancora moltissimo», che fa parte del suo dna. Per questo l'analisi, lucida e spietata, che fa dell'attuale situazione della nostra giustizia, deve inquietare tutti.
Avvocato, perché è così preoccupato?
«Il combinato disposto dell'azione dei pm e della stampa loro amica ha preso il sopravvento su tutto e comanda anche sulla politica. La superprocura Antimafia intimidisce la magistratura giudicante e gli avvocati e altera i corretti rapporti di potere nel processo. Nella magistratura è come se ci fossero una Champions League, con i procuratori più importanti che si sentono Cristiano Ronaldo e fanno il bello e il cattivo tempo, e poi una Serie A di giudici ligi, bravi ma che non contano nulla, perché la politica è succube delle star delle Procure».
Può farmi qualche esempio?
«La sentenza su Mafia Capitale. La Cassazione scrive un monumento giuridico, trecento pagine di motivazioni, ma siccome il contenuto è garantista, i giornali manettari protestano e il giorno dopo il Guardasigilli Bonafede apre un'ispezione contro la magistratura giudicante. Se non è un'intimidazione questa».
Perché i magistrati giudicanti non protestano?
«Non lo so, è stupefacente. Ma penso che il punto è che il sistema ormai è inquinato. Pensi anche alle scarcerazioni dei boss nel periodo del Covid. Sono stati messi fuori su decisioni delle Corti d'Appello, dei Tribunali di Sorveglianza, dei Giudici di Sorveglianza con il parere, il più volte favorevole, delle Procure della Repubblica presso il Tribunale e delle Procure Generali presso le Corti di Appello. Poi, quando il caso è diventato mediatico, Bonafede ha risposto come i cani di Pavlov al richiamo dei giornali amici aprendo un'ispezione e delegittimando il lavoro onesto di decine di giudici. Le Procure comandano su tutto e il Csm è la cinghia di trasmissione tra politica e magistratura attraverso la quale i pm esercitano il proprio potere».
Mettiamo ordine avvocato: cosa non funziona e come si può rimediare? «La magistratura è entrata in crisi quando è diventata il trampolino di lancio verso incarichi d'oro». Si riferisce ai magistrati che entrano in politica?
«Quella è la punta dell'iceberg, ciò che si vede, ma il potere vero sta altrove. Ci sono decine di incarichi di grande prestigio, con poteri enormi, privilegi e diritti di nomina; pensi alla presidenza dell'Authority anti-Corruzione, o ai distaccamenti presso la Corte Costituzionale o agli uffici di rappresentanza all'estero. Sono incarichi di grande prestigio ai quali si accede attraverso la visibilità, che è garantita dalle inchieste. Oggi noi conosciamo i nomi dei pm, che sono delle star, come i virologi ai tempi del Corona, e ignoriamo quelli dei magistrati giudicanti».
Mi spieghi il ruolo del Csm?
«Io da pm apro un'inchiesta, magari funzionale agli interessi di una parte, e divento noto, quindi appetibile per una corrente della magistratura e candidabile per il Csm. Dopo di che ho un potere contrattuale enorme sulla designazione dei procuratori, attraverso il quale ringrazio chi mi ha fatto fare carriera e allevo una nuova classe di pm legati a me con un cordone ombelicale. A quel punto, vengo cooptato dal potere politico, che tengo sotto scacco attraverso i magistrati a me fidelizzati. È tutta politica, la capacità non c'entra nulla».
Palamara è stato coperto di fango perché ha perso una battaglia interna?
«Questo non lo so. Quando cade l'albero, tutti corrono a prendere i rami, ma Palamara non è spuntato dal nulla come un fungo. Nel 2007 Cossiga, che qualcosa di magistrati sapeva, lo definì faccia di tonno e lo sfidò a querelarlo. Mettere lui a capo dei magistrati è stato come affidare a un bambino la cloche di un Boeing. C'è una colpa in chi ha scelto Palamara e una colpa in chi non ha vigilato. Lui era il grande cuciniere e mi viene il dubbio che sia stato eletto per questo, per spicciare i servizi per tutti. Adesso fanno tutti le mammole, ma quando il sistema è guasto è perché non funziona il circuito non perché non va una valvoletta. Ripeto, l'uomo, e soprattutto il magistrato, deve avere le palle. Se io facessi parte di questo Csm, mi dimetterei subito».
Come riformerebbe il Csm?
«L'unica strada è il sorteggio. Se non vogliamo farlo tra tutti e settemila i magistrati, facciamolo tra i 500 con maggiore anzianità».
L'obiezione di rito è: ma se poi viene sorteggiato un cretino?
«Meglio, così lo togliamo dalle aule giudiziarie e gli impediamo di fare male al prossimo. Mi augurerei fossero sorteggiati venti cretini. E la stessa cosa andrebbe fatta per i ruoli apicali della magistratura: abbiamo tre persone in lizza per il posto di procuratore? Sorteggiamo, è l'unico modo per tagliare il nodo gordiano delle correnti e della politicizzazione della magistratura».
Avvocato, lei ce l'ha con i procuratori, ma poi è un giudice a sentenziare
«Un tempo il procuratore capo e il presidente del tribunale erano omologhi. Stesse carriere, mezzi analoghi. Oggi abbiamo una magistratura giudicante che non ha neppure i cancellieri e un procuratore che gira con l'auto di Stato, comanda le forze dell'ordine, rilascia interviste, è chiamato in tv e usa i droni. Visivamente, plasticamente, mediaticamente, le parti sono sbilanciate. La magistratura giudicante è succube materialmente e psicologicamente delle procure, che dominano il Csm. Chi oggi sfida un procuratore star rischia conseguenze negative per la carriera».
La soluzione al problema?
«Separazione delle carriere tra giudici e pm e sorteggio dei componenti del Csm. Tutto il resto sono chiacchiere. Data l'attuale sproporzione dei poteri, la vicinanza fisica con l'accusa che condiziona il giudicante».
E gli avvocati in tutto questo?
«L'avvocatura ormai è ridotta quasi al ruolo di vassallaggio della magistratura. Come fa un giovane avvocato a sfidare certe star? Il carico di lavoro è enorme; spesso un magistrato d'appello deve giudicare venticinque processi in una mattina, non c'è tempo e all'avvocato viene chiesto di riferirsi alle motivazioni scritte nella comparsa. È annullato il dibattimento, e quindi anche la legalità del processo non è garantita. Ci vuole un coraggio da leoni per sfidare il giudice e dire: no, io di questa causa parlo per due ore a voce, non faccio riferimento al fascicolo per la difesa».