Selvaggia Lucarelli, Filippo Facci contro il M5s: "Contrari all'Ordine dei giornalisti? Ma se Casalino, nel 2018..."
Domanda: a che servono i vari «consigli di disciplina» dell'Ordine dei giornalisti? Che vogliono? Che fanno? Non avrebbero di meglio da fare? Le modeste e vanitose tragedie di Selvaggia Lucarelli dell'altro giorno non impediscono di interrogarsi circa l'esistenza di questi tribunaletti dei giornalisti (anche solo pubblicisti) che s' impicciano praticamente di tutto, con esiti tra il paradossale e l'anonimo. La vicenda della Lucarelli è nota ai meno: il figlio 15enne della signora si è rivolto a Matteo Salvini, domenica, dandogli di «omofobo e razzista» mentre lui era impegnato con vari sostenitori, dopodiché - di prassi - il minorenne è stato identificato sotto gli occhi della madre, che anziché intervenire si è messa a filmare la scena col cellulare: l'instinto di creare un caso ha prevalso su quello materno. In altre parole, la Lucarelli ha lasciato che il nome di suo figlio minorenne fosse identificato, ergo divenisse pubblico e pubblicabile, e questo avrebbe violato la «Carta di Treviso» che è una leggina nella legge, così come i consigli di disciplina sono dei tribunaletti nei tribunali.
Il video coi dati personali del figlio (indirizzo compreso) poi l'ha pubblicato lei, su un sito che la stipendia. Ma giudizi personali a parte (invitai il figlio della Lucarelli in barca assieme alla madre, e la mia sentenza resta inappellabile) siamo di fronte a un classico cortocircuito. Le varie carte di Treviso servono a tutelare minori e genitori, e in questo caso la violazione sarebbe della madre, perché se «il volto di mio figlio era già impasto a tutti i media nazionali» la colpa sarebbe sua che non ha interrotto l'identificazione nel suo ruolo di tutrice.
IL CASO SALLUSTI
Ma non ci frega molto di questo, il punto è la regolare frequenza con cui si apprende di incolpazioni e o deferimenti da parte del citato «consiglio di disciplina», ultimamente - non entriamo neanche nel merito - per via di una frase pronunciata da Annalisa Chirico su La7 o per una telefonata di Francesca Carollo (Mediaset) a cui ha risposto un minore. Eccetera. Ma che cosa muove il Consiglio di disciplina? In base e che cosa interviene? Soprattutto: a che serve, visto che la legge ordinaria dovrebbe bastare e avanzare? L'intervento del Consiglio si può chiedere per iscritto o invocare a parole peraltro contro altri colleghi: la stessa Lucarelli ha detto «vorrei che l'Ordine fosse stato così solerte anche quando Sallusti sul Giornale mi definiva "esperta di zoccolaggine", e Sallusti è un buon esempio ma per motivi più seri.
Quando il direttore del Giornale (2012) fu accusato di «tentata evasione» perché si era recato al Giornale evadendo dagli arresti domiciliari dopo una condanna per diffamazione, l'Ordine comunicò la sospensione di Sallusti ben due settimane dopo la sua incriminazione per tentata evasione, e soprattutto due giorni prima del processo: sembrò il classico calcio dell'asino che probabilmente fu favorito non da cattiveria, ma da passaggi su passaggi burocratici in un'orgia di cartacce e consigli e delibere: una scarsa incisività dell'Ordine rispetto al dibattito e rispetto alla realtà, ciò che forse è quello di cui stiamo parlando. Sallusti, per esempio, dopo l'assoluzione, dovette affrontare anche il «tribunale» di disciplina dei colleghi lombardi: perché? Non bastava la legge ordinaria? Era un atto d'ufficio? L'aveva richiesto del il procuratore generale ai sensi dell'articolo 44 della legge professionale? Risposta a noi nota: boh.
Sappiamo solo che sono sottoposti a procedimento coloro che «si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali». Vale per tutti i condannati per diffamazione? Non risulta. Vale per alcuni in particolare? C'è da capire. Ma c'è ben altro da capire, perché il sistema disciplinare dell'Ordine, modificato più volte, non si capisce a che cosa serva anche da altri punti di vista. I consigli sono formati da colleghi non eletti bensì nominati sia a livello nazionale che regionale; possono decidere sospensioni, censure, avvertimenti, riduzioni delle sanzioni di primo grado, annullare le decisioni regionali, ma sono tutte decisioni di cui si sa pochissimo (a meno che il giornalista sia una celebrità o un nemico politico) anche perché il codice e il garante della privacy tendono a ostacolare la pubblicazione delle sentenze.
Sui siti degli Ordini appaiono comunicati che non spiegano nulla, i giornali se ne fregano, le decisioni dei Consigli non le pubblicano mai: insomma, sono interventi che non servono a niente, e questo perché un procedimento disciplinare di cui gli iscritti non abbiano notizia, prima di altro, non fa capire che norma sia stata applicata e perché: tecnicamente manca quella che viene chiamata deterrenza. In concreto, serve solo a rompere i coglioni ai singoli (e ai loro giornali) mentre tanti colleghi, e soprattutto tanto pubblico, continua a mantenere idee spesso strampalate e distorte sulla funzione del giornalista e su ciò che possa fare o non fare. E questo lo sanno bene anche all'Ordine, che negli anni scorsi ha cercato di chiedere lumi al governo circa la possibilità di pubblicizzare le sentenze: zero risposte. Io nel 2017 fui sospeso per due mesi dalla professione e dallo stipendio dal Consiglio della Lombardia (avevo scritto che odiavo l'Islam) e ne scrissero tutti. Poi in secondo grado, a Roma, la pena fu annullata, ma non lo scrisse nessuno.
L'ABOLIZIONE
Il bello è che mentre scriviamo, in teoria, c'è un partito di governo (i grillini) che a parole vorrebbe abolire l'Ordine dei Giornalisti, pensando forse che equivalga ad abolire i giornalisti. Non sanno quanti giornalisti sono stra-favorevoli all'abolizione dell'Ordine. Mentre sappiamo, noi, quanto la contrapposizione grillini-Ordine sia artificiosa perché evidenzia i torti di entrambi. I grillini, da una parte, con quell'autentico squadrismo antidemocratico che mostrano ormai da molti anni in tema di comunicazione, mentre il secondo, l'Ordine col suo consiglio disciplinare, con le sue nelle sue pretese di istruire processini contro qualsiasi giornalista che non gli vada a genio: tra questi, nel settembre 2018, ci fu anche Rocco Casalino, che - persino lui - è iscritto all'Ordine. Com' è finita? È ufficiale: boh. In attesa di saperlo, e sinché esiste, l'Ordine dei giornalisti potrebbe ricominciare, i giornalisti, a difenderli anziché a processarli.